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Idrati di metano: un mistero ancora tutto da scoprire

redazione

Idrati di metano: un mistero ancora tutto da scoprire

venerdì 29 Gennaio 2016

Agli inizi degli anni ‘90 venne scoperta una sostanza particolare presente sui fondali oceanici

Agli inizi degli anni ‘90, negli ambienti di ricerca sulla geologia marina si cominciò a parlare di una sostanza particolare, presente sui fondali oceanici: si trattava delle prime notizie sugli idrati di metano, che fino ad allora avevano ricevuto pochissima attenzione, in quanto ritenuti poco più di una curiosità geologica e privi di qualunque valore commerciale.
Il metano cosiddetto biogenico viene rilasciato da processi di decomposizione della sostanza organica e si accumula all’interno dei sedimenti, dove può concentrarsi ed eventualmente risalire verso la superficie. Se la superficie è un fondale marino, il gas che si libera si combina con l’acqua fredda delle profondità abissali a formare  una sorta di “ghiaccio”. Le molecole di acqua cristallizzano formando strutture “a gabbia”, all’interno delle quali si trovano intrappolate densità. Ghiacciando, l’acqua comprime il gas e il composto assume un’elevatissima densità. Chimicamente, gli idrati di metano sono costituiti da una molecola di metano e 6 di acqua (CH46H2O) e appartengono alla famiglia dei “clatrati”, particolari composti in cui la normale struttura cristallina del ghiaccio si altera a formare celle chiuse “a gabbia”. Perché questo processo avvenga, sono necessari due fattori  concomitanti: una bassa temperatura (-15°C) e un’elevata pressione ambientale (20 bar, corrispondenti ad una  profondità marina di poco meno di 200 m), oltre che, naturalmente, una grande disponibilità di metano e di molecole di acqua.
Per le particolari condizioni in cui questi composti si formano e rimangono stabili, la loro presenza è limitata a tre ambienti: i fondali oceanici, i terreni interessati da permafrost e i ghiacci polari più profondi. Le condizioni più favorevoli alla formazione di idrati di metano si realizzano su grande scala sui fondali marini, dove si rinvengono a profondità comprese tra i 300 e i 3.000-4.000 m. Al di sopra di  questa profondità la pressione non è sufficiente alla formazione di idrati di metano, al di sotto, dove sono ottimali le condizioni di pressione e temperatura, scarseggia  la sostanza organica che origina il metano: manca, quindi la “materia prima”. Per questo, i depositi di idrati di metano sembrano concentrarsi lungo la scarpata continentale che separa la piattaforma continentale dalle piane abissali profonde: qui si concentrano grandi quantità di sedimenti, spesso ricchi di sostanza organica, che scivolano dai continenti verso il mare aperto lungo le scarpate. Tuttavia, se le temperature sono molto  basse, gli idrati di metano si possono formare anche a pressioni meno elevate, come, per esempio, su fondali meno profondi (nelle zone polari) o nei terreni gelati del permafrost, come in vaste zone dell’Alaska e della Siberia.
Le maggiori quantità di idrati di metano si trovano comunque negli oceani. Occupano gli spazi porosi nei sedimenti, per uno spessore di qualche centinaio di metri. A profondità più elevate all’interno dei sedimenti dove la temperatura aumenta a causa del gradiente geotermico, gli idrati di metano si dissociano in acqua e metano allo stato gassoso e come nei normali giacimenti costituiscono una sorta di “crosta”  che racchiude metano allo stato gassoso.
Costituiti da “gabbie” di ghiaccio che intrappolano molecole gassose, gli idrati di metano sono composti stabili solo quando si verificano condizioni di elevate pressioni e temperature molto basse. Se aumentano le temperature o si riducono le pressioni, il ghiaccio fonde e il metano si libera in forma gassosa: la sopravvivenza degli idrati di metano a pressione e temperatura ambiente è di pochi secondi. Per questo anche solo il semplice prelievo di campioni di questa sostanza è molto difficile, poichè, riportato in superficie, la maggior parte del metano si disperde e solo una minima parte può essere recuperata sotto forma di solido. Questa caratteristica è una delle principali limitazioni all’estrazione del metano immagazzinato sotto questa forma e anche una delle possibili fonti di gravi problemi ambientali  legati al suo utilizzo. La fusione del ghiaccio contenuto negli idrati dei fondali oceanici può avvenire per diverse cause, ma la principale è sicuramente un aumento della temperatura dell’acqua. La liberazione del metano in forma gassosa provoca la formazione di bolle di gas che risalendo si espandono e, una volta raggiunta la superficie, si disperdono nell’atmosfera. Questo origina un caratteristico “ribollimento” delle acque interessate dal fenomeno.
Gli idrati di metano potrebbero essere la fonte di energia del futuro. Un metro cubo di idrati di metano può contenere da 160 a 180 m3 di metano gassoso. Si calcola che sui fondali marini e nelle zone di permafrost siano presenti più di 100.000 milioni di miliardi di metri cubi di metano, intrappolati sotto forma di idrati. Alcune stime valutano in 5×1013 m3 le “riserve” contenute nel permafrost dell’Alaska e del la Siberia e in 5-25 x 10 15 m3 quelle contenute nei fondali oceanici. La quantità sfruttabile potrebbe quindi essere di almeno due ordini di grandezza superiore rispetto alla quantità di metano presente sul pianeta e fornirebbe circa il doppio dell’energia ricavabile da tutti i depositi di combustibili fossili oggi conosciuti.
Lo sfruttamento di tali quantità di gas naturale oggi non è possibile: le attuali tecnologie non sono ancora in grado di prelevare gli idrati e di estrarne il gas senza disperderlo nell’ambiente, è inoltre difficile individuare i giacimenti e si sa ancora molto poco su questi composti.

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