Giuseppe Spampinato: "Adattarsi sempre ai bisogni del paziente" - QdS

Giuseppe Spampinato: “Adattarsi sempre ai bisogni del paziente”

Rossella Fallico

Giuseppe Spampinato: “Adattarsi sempre ai bisogni del paziente”

giovedì 10 Marzo 2016

Forum con Giuseppe Spampinato, Segretario regionale Cimo Sicilia

Quando è nato Cimo e di cosa si occupa?
“Cimo è il sindacato dei Medici nato nel 1946 a Montecatini Terme e, ad oggi, conta 10.000 iscritti a livello nazionale e nello specifico più di 1.000 iscritti per la regione Sicilia: si tratta quindi di più del 10%, percentuale che fa dell’Isola la seconda regione per numero di iscritti in Italia. Il Sindacato , rappresenta i medici, i veterinari e gli odontoiatri dipendenti del SSN, i convenzionati, libero professionisti e i pensionati. Per la Cimo c’è stato un vero a proprio cambiamento epocale, una volta ci chiamavano “Cimo Asmd”, ovvero Cimo Associazione Sindacale Medici Dirigenti ed era chiusa ai medici della dirigenza nazionale. Oggi, invece, si chiamiamo “Cimo il sindacato dei Medici”, perché il nostro obiettivo è quello di difendere, come sindacato, la dignità professionale del medico. Come sindacato puntiamo sulla centralità del medico: si parla sempre di centralità del cittadino- paziente, ma non è così. Se fosse centrale solo il paziente, perderemmo di vista cosa possiamo e dobbiamo dargli, ma chi sa cosa fare per il paziente è il medico. Quindi centrale è la figura sanitaria del medico, ovvero quella figura in grado di dare risposte al paziente. In tal senso risulta di fondamentale importanza focalizzarsi sugli strumenti a disposizione del medico: occorre si un medico preparato, ma anche che abbia alle spalle una struttura idonea per tecnologia e servizi. A che serve un super specialista senza gli strumenti idonei alla pratica clinica, o peggio senza una struttura che possa accogliere il paziente dopo l’iniziale trattamento che sia in urgenza o di elezione”.
La crisi economica ha influito sulla qualità dei servizi e nel rapporto medico paziente?
“Assolutamente si. Nella nostra realtà c’è sempre qualcuno con la fascia tricolore che sostiene che l’ospedale del proprio territorio non vada chiuso. In quello stesso ospedale c’è un medico che ha trovato l’unico posto in quella sede e che quindi preferisce adattarsi a lavorare in quelle condizioni, piuttosto che rifiutare un posto di lavoro. La Cimo dice a questi medici di rifiutarsi di lavorare in ospedali insicuri per il paziente e che espongono loro stessi ad un alto rischio professionale. Ecco perché siamo il sindacato di tutti i medici, i quali dovrebbero rifiutarsi di lavorare in ospedali incerti ed insicuri sia per il proprio lavoro, sia per il paziente. Il medico non deve diventare schiavo, deve sempre dare priorità alla propria dignità di medico, senza mai abdicarvi”.
Quale soluzione vede per risolvere tale situazione?
 “Qualche giorno fa la Regione ha tolto 128 milioni di euro dal fondo sanitario per pagare debiti non sanitari, questa è ulteriore dimostrazione della vergognosa condizione in cui stiamo navigando. A questo poi si aggiunga il passaggio di circa 500 dipendenti della sanità carceraria che passano economicamente a carico del SSR. Per cambiare le cose dobbiamo avere il coraggio politico di dire che non è vero che possiamo dare tutto a tutti ed in ogni luogo. Cerchiamo di razionalizzare i costi, chiediamo uno sforzo di intelligenza alle politiche locali: occorre chiudere determinati ospedali, facendoli diventare dei centri specializzati per poliambulatori, lungodegenza e riabilitazione, garantendo con un buon servizio 118 l’emergenza del territorio. Non possiamo permetterci più di inventare ospedali, con pronto soccorso e rianimazione se non ci sono soldi”.
Esiste un numero interventi minimi per mantenere aperto un reparto…
“Si, certo. Attraverso lo studio dei dati epidemiologici, dell’indice di occupazione dei posti letto, dell’indice di complessità degli interventi e delle patologie trattate, nonchè delle liste d’attesa, si può valutare la reale capacità assistenziale e di attrazione di un reparto. Se un reparto non risponde a queste esigenze va accorpato o chiuso, duplicazioni inutili sono nemiche della bontà del servizio erogato e pertanto contrarie ai principi della Cimo. La politica nomina con il consueto sistema Cencelli i DG, i quali nominano i Capi Dipartimenti e i Direttori delle strutture, il tutto in una filiera fiduciaria e personalistica, con nomi tratti da elenchi di generici “Idonei”.Tale filiera non risponde pertanto ad un principio meritocratico professionale, ma più spesso a meriti di appartenenza politica”.
 
La sanità in Sicilia dove la possiamo collocare, considerando che ci sono anche professionalità reali e meritorie?
“La sanità è lo specchio della politica siciliana degli ultimi 20 anni: più peggiora la politica, più peggiora la sanità. La sanità è feudo della politica. A questo c’è da collegare anche un fatto storico, l’Italia è fatta da chi produce e chi deve consumare: il Nord produce e il Sud consuma. Noi, in Sicilia, volevamo creare i famosi centri di eccellenza: ortopedico, oncologico e pediatrico. Tuttavia questi non si sono mai realizzati perchè si è preferito importare il “konw-how” delle grandi Fondazioni del Nord. Pagando ciò ad altissimo costo. Se ciò portasse un risultato, ben venga, ma non è così. La sanità nell’Isola continua a non funzionare e quindi il paziente è costretto ad andare in Lombardia, ad esempio. Le infrastrutture in Sicilia non funzionano, così il paziente che deve spostarsi in un ospedale siciliano difficile da raggiungere decide di prendere un aereo e andare a Milano. Tutto ciò è una cosa politicamente studiata e noi come Cimo ci siamo sempre battuti contro. Dobbiamo esportare i malati, chiunque si azzardi a fare qualcosa per la quale invece di esportare, importa viene osteggiato. Il mio reparto di “Odontoiatria per disabili” ha il 27% di immigrazione sanitaria dalle altre province e l’1,1% dall’Italia. Prima i pazienti e i famigliari andavano a Bologna, Siena, Milano, Roma e Ravenna; oggi vengono nel mio reparto perché ho creato le condizioni adatte ad accoglierli, con stanze degenza a tre letti per il paziente e la sua famiglia. Molti ospedali sono stati pensati per gente normodotata e malata, non per i disabili malati. La logica della sanità deve sempre essere quella di adattarsi al bisogno del paziente”.
 
Quali sono i vostri obiettivi futuri?
“Come Cimo abbiamo l’obiettivo primario di sganciare la carriera professionale dalla politica: dobbiamo creare un doppio binario, quello della professione, per il quale il medico ha la funzione di produttore del bene salute; poi c’è l’altro binario, quello della carriera gestionale, in cui il medico non deve più solo produrre, ma soprattutto deve ottimizzare le risorse. In questo momento le due cose sono sovrapposte: creando la difficoltà sia nella produzione del bene salute, che nella gestione delle risorse.
Altro obiettivo quello di trovare un nuovo inserimento dei giovani nel lavoro, sganciando la loro carriera dalla specializzazione universitaria. Questo sarebbe possibile solo abbattendo il baronato universitario, che pretende di avere l’esclusività della formazione. Il giovane medico si forma all’interno del reparto ospedaliero.
Sulla sanità privata cosa può dirci?
“Non sono contrario a priori al privato, ma è inevitabile dire che chi fa privato deve fare anche profitto. Tuttavia, se dobbiamo produrre salute è difficile fare profitto, bisogna rispondere ad un bisogno di salute, non indurre alla spesa per ammortizzare i costi degli investimenti. Nel privato si punta a far fare al paziente esami molto spesso inutili”.
Non pensa che in questo ci sia un bisogno del medico di appoggiarsi a supporti tecnici perché si preoccupa, visto che le polizze assicurative sono aumentate…
“Sicuramente si. La medicina difensiva è il più alto costo che noi paghiamo. Il medico va a lavorare con la paura di sbagliare, essendo l’anello debole di una catena di inefficienza. Il sistema sanitario nazionale “Ssn” è un acronimo di “siamo solo noi”:  Il 95% delle denunce sono a carico dei medici e non degli infermieri o dei biologi. Siamo carne da macello inviata dai politici nelle trincee, per vincere una loro battaglia: quella dell’accaparramento dei voti”.

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