Imprese siciliane poco internazionali - QdS

Imprese siciliane poco internazionali

Rosario Battiato

Imprese siciliane poco internazionali

martedì 24 Maggio 2016

Gli ultimi dati dell’Istat sulla capacità delle aziende nazionali di interagire con i mercati esteri, meglio il Centro-Nord. In Sicilia gli indicatori largamente al di sotto della media nazionale e lontani dai migliori

PALERMO – L’internazionalizzazione delle imprese continua a costituire un punto fermo nei bandi di finanziamento per il tessuto produttivo d’Italia. Competere sui mercati di tutto il globo è, del resto, una priorità, anche se non esaurisce il capitolo internazionalizzazione che non riguarda soltanto “un investimento all’estero da parte delle imprese italiane – si legge in un rapporto della Banca d’Italia –, ma anche nell’ottica più generale degli scambi commerciali e della capacità di attrarre capitali stabili dall’estero”.
A farne il quadro, regione per regione e con aggiornamenti mensili, è l’Istat che incasella tutti i dettagli numerici negli indicatori territoriali per le politiche di sviluppo, una banca dati prevista dal Disciplinare stipulato tra Istat e Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica (Dps), nell’ambito del progetto “Informazione statistica territoriale settoriale per le politiche strutturali 2010-2015” finanziato con il Pon Governance e Assistenza tecnica Fesr 2007-2013. L’ultima versione è stata pubblicata venerdì scorso sul sito dell’Istituto di statistica.
Nel vasto campionario di indicatori offerti sul livello di internazionalizzazione delle imprese nazionali, si comincia col “grado di apertura commerciale del comparto agro-alimentare”, che comprende l’export totale dei settori agricolo e alimentare in percentuale sul Pil. Il dato nazionale si ferma al 2,1%, una tendenza in netta crescita testimoniata dalla presenza, nel 2013, della miglior rilevazione dal 1995 in poi. Anche per la Sicilia si tratta di uno dei migliori risultati del suo percorso recente, battuto di pochissimo soltanto dalla prestazione del 2011, anche se non supera l’1%. A dominare la graduatoria ci sono il Trentino-Alto Adige (5%) e la provincia autonoma di Bolzano (6,3%).
Spostandoci su un ambito più generale, non si migliora la tendenza. La “capacità di esportare”, calcolata sul valore delle esportazioni di merci sul Pil (percentuale), vede la media italiana arrivare al 24,7% nel 2014, un dato più o meno in linea con gli ultimi anni, che comunque risulta essere il migliore della serie storica che comincia nella metà degli anni Novanta. La Sicilia, complice anche la crisi di alcuni dei suoi punti di forza come i raffinati del petrolio, non soltanto scivola al di sotto della metà della media nazionale, ma con il suo 11,1% registra il peggior risultato dal 2010 in poi. Sopra il 35% si posizionano regioni come Friuli-Venezia Giulia, Veneto ed Emilia Romagna.
Il dato più recente, aggiornato allo scorso anno, è quello relativo alla capacità di esportare in settori a domanda mondiale dinamica, che comprendono  sostanze e prodotti chimici, articoli farmaceutici, chimico-medicinali e botanici, computer, apparecchi elettronici e ottici, apparecchi elettrici, mezzi di trasporto, attività professionali, scientifiche e tecniche, attività artistiche, di intrattenimento e divertimento e altre attività di servizi. In questo campo, calcolato dall’Istat come quota del valore delle esportazioni in settori a domanda mondiale dinamica sul totale delle esportazioni (percentuale), l’Italia ha visto una tendenza quasi costante in crescita dei propri risultati fino al raggiungimento del 31,37% nel 2015, miglior risultato di sempre. Per la Sicilia, invece, il percorso è assai più frastagliato. Dopo il grande boom degli anni Novanta, periodo in cui si registravano valori vicini al 40%, l’Isola perde progressivamente e, complice anche una modifica nel calcolo statistico dei settori considerati “dinamici”, si è ritrovata con valori più che dimezzati nel primo decennio degli anni Duemila. Il risultato del 2015, che supera di poco il 21%, è comunque il migliore dal 2006, e lascia ben sperare per il futuro del settore.

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