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Catania – Un duro colpo agli affari di Cosa nostra catanese

redazione

Catania – Un duro colpo agli affari di Cosa nostra catanese

giovedì 07 Luglio 2016

Nelle piazze di spaccio di Librino un giro d’affari da 2,5 mln € al mese

CATANIA – Oltre 300 Carabinieri del Comando provinciale etneo hanno eseguito, nel popoloso rione di Librino, considerato il più redditizio supermarket della droga in città, un’ordinanza di custodia cautelare del Gip, su richiesta della Dda della locale Procura, nei confronti di 35 indagati ritenuti appartenenti al clan Nizza, alleato della “famiglia” Santapaola. I reati ipotizzati, a vario titolo, sono associazione mafiosa, detenzione di armi e traffico di stupefacenti.
Il gruppo criminale, tra i più agguerriti e organizzati del panorama criminale catanese, è capeggiato da Andrea Nizza, irreperibile dal dicembre 2014 e inserito nella lista dei “latitanti più pericolosi” del ministero dell’Interno.
Durante le indagini, condotte dal Nucleo investigativo dei Carabinieri di Catania, dal 2014 al 2016, è stato sequestrato un arsenale costituito da oltre 50 armi tra pistole, fucili e mitragliatrici, e sono state ricostruite le dinamiche interne al gruppo mafioso, soprattutto in relazione alla gestione di numerose “piazze di spaccio” a Catania.
Il controllo del traffico di stupefacenti fruttava all’incirca 2,5 milioni di euro al mese, soldi in parte da reinvestire nell’acquisto di droga, altri da riciclare. Il tutto in uno stretto legame con Cosa nostra.
Una criminalità “imprenditoriale”, quella che viene fuori dalle ricostruzioni degli investigatori, che seleziona i “dipendenti”, scegliendo per loro ruolo e guadagni. Il fulcro del sistema è il patrimonio economico, come confermato dal procuratore Carmelo Zuccaro, che ha evidenziato come i soldi fossero destinati a “speculazioni finanziarie e operazioni commerciali”. Lo dimostra, per esempio, la consegna di parte degli introiti di Andrea Nizza a Salvatore Fonte, 48 anni, noto come “Turi d’a zia Rosa”, tra gli arrestati, che li investiva nel settore della ristorazione e che, secondo l’accusa, era una sorta di banca per il boss latitante.

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