Il ricatto di Bossi e l’errore di Berlusconi - QdS

Il ricatto di Bossi e l’errore di Berlusconi

Carlo Alberto Tregua

Il ricatto di Bossi e l’errore di Berlusconi

giovedì 23 Aprile 2009

Referendum, il massimo di democrazia diretta

Degli stolti parlamentari ed esponenti di partito tentano di far passare il messaggio che il referendum per l’abrogazione dell’infausta legge Calderoli sul sistema elettorale, detta Porcellum, non interessi nessuno. I campioni del benaltrismo (c’è sempre ben altro di cui occuparsi) in perfetta malafede dimenticano che più di 800.000 cittadini si sono disturbati per andare a firmare nei banchetti dei promotori per lo svolgimento del referendum.
Si sono dimenticati che la richiesta è passata al vaglio della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale e che il referendum, a causa delle elezioni anticipate di aprile 2008 è stato rinviato di un anno.
Costoro vorrebbero che un referendum non si facesse mai perché il popolo è solo un intralcio al manovratore. Fra l’altro la predica arriva da parlamentari che non hanno avuto il suffragio democratico perché non sono stati eletti in base all’indicazione di chi ha posto il segno sul loro nome nella scheda elettorale, bensì nominati dai padroni di turno dei rispettivi partiti.

I parlamentari così nominati non hanno legittimazione democratica e quindi farebbero bene a sciacquarsi la bocca prima di parlare di democrazia. In questa vicenda, Berlusconi si è defilato, accettando il ricatto di Bossi, consistente nel non accorpare il referendum alle elezioni europee, data nella quale il quorum costitutivo sarebbe stato sicuramente superato. Il ricatto di Bossi nell’impedire lo svolgimento del referendum in data in cui i cittadini potessero liberamente esprimersi, con un sì o con un no, ci ricorda il magnificato Bettino Craxi, che è morto ad Hammamet inseguito da mandati di cattura e da condanne definitive che non hanno potuto essere eseguite in Tunisia per i suoi rapporti col capo dello Stato. Craxi fu denominato Ghino di Tacco (un bandito che si appostava sul  colle di Radicofani, in territorio senese, e non faceva passare i viandanti dalla  sottostante via Francigena, se non previo pagamento di un pedaggio). Craxi fece il presidente del Consiglio dall’84 all’89 con il 13 per cento dei voti dell’elettorato, ma riuscì a impaurire quei democristiani vigliacchi che volevano ad ogni costo restare al potere e per ciò stesso si dovevano calare le brache.
Mentre altri bravi democristiani volevano passare all’opposizione, per depurarsi.

La maggioranza, così com’è, è prigioniera del Senatur e non comprendiamo perché Berlusconi con una piccola forzatura non abbia colto l’occasione perché il Pdl raggiungesse quest’anno stesso il famoso 51 per cento. Vi spieghiamo l’arcano.
Il 6 giugno si svolge il referendum, raggiunge il quorum e vincono i sì (ovviamente). Bossi manda in crisi il governo assumendosi una gravissima responsabilità di fronte al Paese nel momento in cui bisogna soccorrere l’Abruzzo, mantenere la barra al centro dei conti pubblici (col debito arrivato a 1708 miliardi) e cogliere i primi barlumi di ripresa. Napolitano mantiene il governo per l’ordinaria amministrazione, scioglie le Camere perché non c’è nessun’altra maggioranza, (sarebbe illusorio pensare che Bossi si allei col centro-sinistra) e indice nuove elezioni in ottobre.

In quell’occasione sarebbe probabile che il primo partito risultasse il Pdl al quale andrebbe il premio di maggioranza con la conquista probabilissima del 51 per cento dei seggi. A quel punto Berlusconi potrebbe innestare la quarta e recuperare i tre mesi estivi perduti, avendo mano libera e non più un ricattatore al fianco.
Vogliamo chiarire che sia Bossi ora che Ghino di Tacco, pardon Bettino Craxi, allora, si comporta e si comportava rispettivamente in modo perfettamente legittimo, dal loro punto di vista, anche se mettevano l’interesse generale in secondo piano. Ma è proprio l’interesse generale che deve prevalere. è a questo valore che si deve ispirare la politica emarginando giochi del tutto dannosi.
In questo quadro, il Partito democratico non sarebbe da meno perché ha il suo Ghino di Tacco, cioè Antonio Di Pietro, il quale pur di accrescere i suoi suffragi (anche questo è legittimo) ha comportamenti tattici che inseguono obiettivi giorno per giorno, ignorando l’interesse generale: governare con qualità.

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