Tagliare i vitalizi, Tagliare le Camere - QdS

Tagliare i vitalizi, Tagliare le Camere

Carlo Alberto Tregua

Tagliare i vitalizi, Tagliare le Camere

giovedì 03 Novembre 2016

Ridurre i costi della burocrazia

Il Ddl presentato dal Movimento Cinquestelle per tagliare le indennità dei parlamentari è carente in almeno due punti. Il primo riguarda tutte le spese dei gruppi parlamentari, dei rimborsi ed altre che comunque vengono erogate senza alcun giustificativo, consentendo in tal modo abusi di ogni genere. Mentre le Camere dovrebbero erogare indennità, certamente dimezzate, ma anche pagare spese vive sostenute e documentate a piè di lista e non più forfetarie.
Fra queste spese clientelari, vi sono quelle dei parlamentari che risiedono nella città di Roma o altri che hanno locato immobili che, nel primo caso non dovrebbero ricevere alcun rimborso spese, nel secondo caso dovrebbero ricevere solo la cifra documentata del canone di locazione ed accessori. 
Già questo primo taglio così completato farebbe risparmiare ben più degli 87 milioni previsti, forse il doppio.

Il secondo vulnus riguarda le spese di gestione delle Camere che ammontano a 986,6 milioni di euro per la Camera e a 540,5 milioni di euro per il Senato come risulta dai bilanci consuntivi 2015 pubblicati sul sito delle stesse.
Ed è proprio lì che si dovrebbe tagliare, cioè adeguare stipendi e indennità di burocrati e dipendenti, spese di gestione, di parrucchieri, di cuochi e camerieri ed altre che sono supervalutate e non più compatibili con una economia che non vuole ripartire e con la necessità di una equità generale fino ad oggi poco diffusa.
Non è possibile che un assistente parlamentare, che in altre amministrazione si chiama usciere, possa percepire con una anzianità elevata anche 150mila euro l’anno. O che dirigenti non si attengano al tetto dei 240mila euro l’anno senza alcuno sforamento dell’importo per altre voci, che surrettiziamente vengono inserite nei loro cedolini.
L’azione meritoria di riduzione della spesa di Camera e Senato non  è di per sé di grande aiuto al taglio della spesa pubblica, però sarebbe un esempio per tutti i cittadini, in modo da dimostrare la sensibilità verso chi sta male, i poveri e tanta altra gente che non sopporta più i trattamenti dei privilegiati.
 

Analogo discorso si riferisce all’Assemblea regionale siciliana, che con propria legge n.44/1965 equiparò il trattamento dei deputati a quello dei senatori. 
Anche nel caso dell’Ars, non solo andrebbero tagliate indennità e spese di vario genere per deputati, portaborse ed altri, ma occorre una revisione sostanziale per portare la spesa complessiva a 81 milioni (come nel caso del Consiglio regionale della Lombardia), dagli attuali 158 milioni (consuntivo 2015), con un risparmio di 77 milioni.
Si comincia ad affacciare l’idea nella pubblica opinione che fare politica è un servizio, un servizio nobile e di alto profilo, non un posto di lavoro che però, siccome va fatto a tempo pieno, e non promiscuamente, il deputato nazionale o regionale o un senatore deve percepire un reddito pari a quello che dichiarava fiscalmente prima di essere eletto.
Perciò dovrebbe essere vietato l’esercizio di arti, mestieri e professioni durante tutto il mandato.

Vi è un’ultima questione da analizzare al riguardo e concerne il sistema pensionistico dei parlamentari che non è stato riformato dalla Legge Fornero. Anche in questo caso occorrerebbe che i contributi versati nel periodo non producano autonomamente un assegno pensionistico, piu comunemente chiamato vitalizio, bensì si ricongiungano ad altri spezzoni di contributi versati, relativamente ad altre attività, in modo da generare un’unica pensione. Mentre oggi si assiste alla macroscopica distorsione per cui vi sono cittadini italiani che percepiscono contemporaneamente due, tre, quattro, cinque pensioni.
Per esempio, un professore universitario o un professionista o un magistrato o un imprenditore che è stato deputato regionale, parlamentare nazionale o eurodeputato, accumula quattro pensioni: e questo non è più accettabile perché i privilegi devono essere tagliati col machete.
La questione è sempre la stessa: togliere a chi percepisce risorse pubbliche indebitamente, anche se lecitamente, e redistribuirle, in modo da spingere investimenti pubblici e privati, opere pubbliche, ristrutturazioni antisismiche e riparazioni idrogeologiche.

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