Riforma Madia, gli scenari dopo la pronuncia della Corte costituzionale - QdS

Riforma Madia, gli scenari dopo la pronuncia della Corte costituzionale

Rosario Battiato

Riforma Madia, gli scenari dopo la pronuncia della Corte costituzionale

mercoledì 30 Novembre 2016

Il lavoro nella Pa, le società partecipate, la riforma della dirigenza e i servizi pubblici locali: le deleghe bloccate dalla Corte costituzionale. Ipotesi ritiro decreti su dirigenza e servizi pubblici. Oppure serve un’intesa con la Conferenza Stato-Regioni

PALERMO – La riforma Madia si infrange contro l’illegittimità dichiarata dalla Corte costituzionale. Nel mirino la legge delega (legge 7 agosto 2015, n.124) nella parte che prevede l’attuazione della riforma, tramite i decreti legislativi, con il semplice parere della Conferenza Stato-Regioni. Non è sufficiente, secondo le motivazioni espresse dalla Consulta in seguito all’impugnazione della Regione Veneto, il parere non vincolante delle Regioni, perché è necessaria un’intesa con le autonomie regionali. Le deleghe finite nel mirino della Consulta, e quindi bloccate dalla sentenza, riguardano quattro materie: il lavoro nella Pa, le società partecipate, la riforma della dirigenza e i servizi pubblici locali.
Il giudizio della Corte riguarda soltanto le misure della delega, e non le norme attuative, facendo riferimento all’impugnazione della Regione Veneto della legge 124 che non avrebbe rispettato il Titolo V della Costituzione per una serie di materie da normare con legislazione concorrente tra Stato e Regione. Nella sintesi della sentenza, infatti, si legge che “le pronunce di illegittimità costituzionale colpiscono le disposizioni impugnate solo nella parte in cui prevedono che i decreti legislativi siano adottati previo parere e non previa intesa”.
Le materie bloccate dalla Consulta si collegano a quatto decreti già approvati: licenziamenti per i cosiddetti furbetti del cartellino (in vigore da luglio), partecipate (in vigore dal 23 settembre), riforma della dirigenza e i servizi pubblici locali (approvati il 24 novembre). Per quanto riguarda il testo unico sul pubblico impiego, l’altro decreto nel mirino in quanto collegato alla materia del lavoro del Pa, non c’è ancora nessun problema dal momento che la sua presentazione sarebbe prevista per febbraio. 
Si riformulano così i numeri della riforma Madia che lo scorso 24 novembre in Cdm aveva raggiunto quota 16 decreti approvati, chiudendo di fatto la parte che riguardava direttamente cittadini e imprese e in attesa per febbraio di avviare le deleghe relative ai lavoratori pubblici. Attualmente restano 12 i decreti approvati: riforma delle camere di commercio, enti di ricerca, due provvedimenti sui procedimenti autorizzativi, cittadinanza digitale (su questo punto la Consulta ha respinto i dubbi di legittimità costituzionale sollevati dal Veneto), nuova conferenza dei servizi,  sblocca procedimenti per i grandi investimenti, riforma della procedura di nomina dei direttori sanitari, riduzione dei corpi di polizia, freedom of information Act, riforma delle autorità portuali,  revisione del processo contabile.
La Consulta ha spiegato che nel futuro “le eventuali impugnazioni delle norme attuative dovranno tener conto delle concrete lesioni delle competenze regionali, alla luce delle soluzioni correttive che il Governo, nell’esercizio della sua discrezionalità, riterrà di apprestare in ossequio al principio di leale collaborazione”. Il ministro Madia potrebbe bloccare i due decreti approvati nei giorni scorsi in Cdm (dirigenza pubblica e servizi pubblici locali) oppure trovare una formale intesa con la Conferenza Stato-Regioni prima della pubblicazione in Guri. Per quanto riguarda gli altri due già operativi (partecipate e licenziamenti per i furbetti) si affaccia l’ipotesi dei correttivi anche se potrebbero non essere sufficienti. L’ennesimo scontro tra Stato e Regioni – il premier Renzi ha riferito di 140 ricorsi – si proietta sul referendum del 4 dicembre che riguarda anche la ridefinizione delle competenze.

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