Diritto alla salute e sostenibilità del Sistema sanitario nazionale - QdS

Diritto alla salute e sostenibilità del Sistema sanitario nazionale

Giuseppe Bonsignore

Diritto alla salute e sostenibilità del Sistema sanitario nazionale

sabato 11 Febbraio 2017

Giusta la riduzione degli sprechi, ma altrettanto irrinunciabile è l’adeguamento delle risorse

Art. 2 Cost.
“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

I diritti sanciti dalla Carta Costituzionale sono inviolabili e lo Stato non può disconoscerli ed è tenuto a garantirli, dandosi un’organizzazione tale da renderli effettivi. Ciò implica che lo Stato si trova costantemente impegnato nella predisposizione di tutte quelle misure ed interventi atti a creare le condizioni per rendere realmente operanti i diritti dei propri cittadini.

Tra questi c’è anche la Salute che, all’art. 32, viene enunciata come diritto fondamentale del singolo ed interesse della collettività. Dal 1978, con l’introduzione della Legge 833, la Repubblica tutela la salute dei cittadini attraverso il Sistema sanitario nazionale (Ssn), che è basato su tre pilastri: universalità, uguaglianza ed equità.
In altri termini, lo Stato garantisce le prestazioni sanitarie a chiunque, senza distinzioni individuali o socio-economiche. Secondo il Presidente Emerito della Corte Costituzionale, Valerio Onida, “la Costituzione Italiana suppone che la società cammini verso obiettivi più avanzati, quindi che ci sia un costante progresso”.
In quest’ottica, un Ssn pubblico e universalistico ha rappresentato una grande conquista nell’evoluzione della Storia del nostro Paese, ma, come si diceva prima, i diritti sanciti dalla Costituzione (e con essi il diritto alla salute) per essere resi effettivi hanno bisogno di un’organizzazione dello Stato efficace e soprattutto di risorse, sia in termini di consistenza che di equa distribuzione delle stesse. La spesa pubblica ha quindi il compito di tenere in piedi l’intero apparato burocratico-amministrativo dello Stato e di concorrere in modo determinante alla realizzazione compiuta dei principi e dei diritti costituzionali.
Il tema della disponibilità delle risorse e della loro allocazione ha investito nell’ultimo decennio il Ssn in maniera rilevante. La crisi che attanaglia il nostro Paese da anni ha determinato una vistosa frenata nella crescita economica e nell’equilibrio dei Conti dello Stato, con la necessità da parte dei vari Governi che si sono succeduti, di adottare ripetutamente misure straordinarie atte a contenere i vincoli di finanza pubblica e gli impegni assunti in sede Comunitaria.
Tutti gli enti della Pubblica Amministrazione hanno subito la politica dei tagli lineari che ha determinato una sensibile riduzione delle risorse disponibili per il loro funzionamento. Nell’ambito del SSN le politiche di spending review hanno comportato una drastica diminuzione dei capitoli di spesa destinati alle Regioni e alle Aziende Sanitarie che, dal canto loro, non sono finora state in grado di predisporre sistemi di efficientamento e cambiamenti organizzativi strutturali finalizzati a contenere i non pochi problemi che, nel nuovo contesto socio-economico, si sono venuti a determinare e ad aggravare nel tempo.
La carenza di risorse economiche ha condotto ad un abbassamento dell’erogazione dei servizi sanitari e al taglio dei posti letto ospedalieri (tra i più bassi in Europa) e sta infine minando alla base proprio quegli aspetti di universalità, eguaglianza ed equità che rappresentavano il fiore all’occhiello della Sanità italiana.
Il mancato rispetto del diritto di accesso alle cure e la compartecipazione alla spesa sanitaria hanno portato negli ultimi anni, secondo i vari rapporti del Censis, milioni di cittadini italiani a rinunciare a varie tipologie di prestazioni sanitarie per ragioni economiche. Con la crisi la salute è passata in secondo piano rispetto ad altre necessità evidentemente più impellenti. La sostenibilità di un Ssn basato sul principio dell’universalità viene quindi messa a dura prova in un quadro di crisi economica in cui si innestano il contemporaneo allungamento dell’aspettativa di vita, l’innovazione tecnologica e farmaceutica a costi crescenti, il progressivo incremento della richiesta di servizi diagnostici e terapeutici da parte della popolazione.
Tuttavia secondo il Rapporto 2016 stilato dalla Fondazione Gimbe (Gruppo Italiano di Medicina Basato sulle Evidenze), “il problema della sostenibilità del SSN non è soltanto di natura squisitamente finanziaria, perché un’aumentata disponibilità di risorse non permette comunque di risolvere cinque criticità ampiamente documentate nei paesi industrializzati: l’estrema variabilità nell’utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie; gli effetti avversi dell’eccesso di medicalizzazione; le diseguaglianze conseguenti al sottoutilizzo di servizi e prestazioni sanitarie dall’elevato valore; l’incapacità di attuare efficaci strategie di prevenzione; gli sprechi, che si annidano a tutti i livelli”.
Secondo il Rapporto Gimbe, il dibattito sulla sostenibilità del Ssn continua ad essere affrontato in maniera distorta dalle varie categorie di stakeholder che, guardando a un orizzonte a breve termine, rimangono arenate su come reperire le risorse per mantenere lo status quo, allontanando la discussione dalle modalità con cui riorganizzare il Ssn per garantirne la sopravvivenza.
Siamo quindi arrivati al punto cruciale della questione, chiederci e verificare se siamo ancora in grado di garantire la sopravvivenza stessa del Ssn. Secondo i più recenti studi e modelli che vengono proposti, la risposta è affermativa. Sarebbe quindi possibile “salvare il nostro Ssn” ma a condizione di mettere in campo tutti gli interventi necessari per fronteggiare la crisi.
Le strategie possibili che vengono proposte sono essenzialmente tre:
1) Contenere il definanziamento pubblico utilizzando fonti alternative di finanziamento;
2) Ridurre gli sprechi;
3) Aumentare il valore dell’assistenza.
Gli sprechi in Sanità vengono stimati per il solo anno 2015 nell’ordine dei 34 miliardi di euro buttati al vento da sovra e sottoutilizzo, frodi e abusi, acquisti a costi eccessivi, complessità amministrativa e inadeguato coordinamento dell’assistenza. Una cifra impressionante tenuto conto dell’entità complessiva del Fondo sanitario nazionale che si aggira attorno ai 115 miliardi all’anno.
Riuscire ad incidere, anche parzialmente, sulla riduzione degli sprechi vorrebbe dire far crescere il numero dei posti letto, erogare maggiori servizi di qualità, sbloccare il turn over del personale che sta invecchiando all’interno degli Ospedali ad un ritmo allarmante senza che si profili all’orizzonte un vero ricambio generazionale, con un precariato “storico” salito in maniera vertiginosa.
Fino adesso, purtroppo, la miopia della politica ha preferito ricorrere unicamente ai tagli delle risorse destinate alla tutela della Salute, ma anche di quelle destinate ai meccanismi retributivi dei dipendenti del Ssn che, al pari di tutti quelli della Pa, hanno pagato un conto salatissimo anche in questi termini, creando una situazione di scontento e di profondo malessere che non può che incidere negativamente anche sulle prestazioni lavorative di tali soggetti, i quali nel contempo vengono demonizzati da campagne mediatiche e incaute affermazioni politiche che li hanno etichettati ora come “fannulloni” ora come “furbetti”, generalizzando artatamente i comportamenti scorretti di una minoranza certamente da stigmatizzare e perseguire, forse con l’intento da parte di qualcuno di mettersi la coscienza a posto e di giustificare la progressiva demolizione del pubblico impiego.
Il Ssn andrebbe quindi ripensato, con interventi avanzati che predispongano un sistema nuovo, in grado di guidare un processo di riduzione degli sprechi attraverso una lotta senza quartiere nei confronti della corruzione e un cambiamento radicale volto ad eliminare le inefficienze e le perdite economiche legate al sovrautilizzo e al sottoutilizzo di servizi e prestazioni sanitarie. A fonte di tutto ciò, al di là delle difficoltà oggettive nel realizzare tali programmi, resta il fatto che nel giro di pochi anni va invertito il trend del definanziamento pubblico della spesa sanitaria.
I nuovi modelli organizzativi potranno dare respiro all’asfittico SSN in crisi ma, nel lungo periodo, sarà comunque indispensabile il ritorno ad una crescita del finanziamento pubblico, perché senza risorse finanziarie adeguate non è nemmeno immaginabile la sopravvivenza e il funzionamento del nostro Ssn.
È giusta quindi, anzi sacrosanta, la guerra agli sprechi di qualsiasi genere, ma altrettanto irrinunciabile è l’adeguamento delle risorse e la loro corretta distribuzione. La politica deve tornare al più presto ad occuparsi della Sanità pubblica, non guardando più ad essa come ad una fonte inesauribile a cui attingere per sanare i conti pubblici, ma nuovamente come un diritto da tutelare, assumendosi il compito di salvaguardare una delle più grandi conquiste sociali dei cittadini italiani, un Ssn equo e universalistico da lasciare in eredità alle future generazioni.
Giuseppe Bonsignore
Responsabile Comunicazione Cimo Sicilia

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