Dop-Igp, tesori che non fatturano - QdS

Dop-Igp, tesori che non fatturano

Chiara Borzi

Dop-Igp, tesori che non fatturano

martedì 11 Aprile 2017

Sicilia leader al Sud per i prodotti di Denominazione d’origine protetta (18) e Indicazione geografica protetta (12). Ismea: nell’ultimo anno -17% e ricavi solo per 30 mln € (277 mln € in Puglia)

Il Mezzogiorno italiano che ha vissuto la crisi del 2008-2014 sta facendo registrare delle prime performance positive grazie alla crescita del comparto agricolo. Afferma, infatti, Svimez, che grazie ai minori risultati ottenuti nello stesso settore dal Centro e il Nord dell’Italia, proprio l’agricoltura potrebbe essere il vero traino del Sud e della Sicilia. Ed inoltre: “Compito della politica è attivare strumenti per risolvere questo paradosso in positivo”.
Riferendosi al contesto macro economico del Sud Italia, Svimez evidenzia anche l’effervescenza di alcuni contesti del mercato agricolo meridionale, che in barba alla crisi e ad una struttura produttiva ancora fatta in maggioranza da piccole aziende e senza cooperazione, è riuscita a conquistare o a consolidare una significativa presenza sui mercati grazie a strategie basate sulla qualità e sull’innovazione di prodotto. In questo contesto la Sicilia non brilla.
 
La Sicilia è regina a Sud di Dop (18 etichette) e Igp (12 etichette), ma dai dati pubblicari da Ismea si registra un calo del 17 per cento del fatturato dei prodotti food: il guadagno si è ridotto passando da circa 37 milioni di euro a 30 milioni e mezzo di euro.
Sono andati in fumo circa 6 milioni e mezzo di euro in un anno. Queste stime fanno sì che l’Isola copra soltanto il 6 per cento del mercato Dop e Igp meridionale, il 51 per cento del mercato è in mano alla Puglia e il 35 per cento alla Sardegna. La Sicilia rimane il terzo mercato italiano, ma vista la differenza di percentuale (quasi il 30 per cento rispetto la Sardegna e il 45 per cento meno rispetto la Puglia) questo piazzamento appare ridimensionato.  
Altro calo si registra nel settore che Svimez ha evidenziato come possibile “ancora di salvezza” delle imprese agricole del sud, ovvero quello dell’export delle etichette Dop e Igp all’estero.
Per fatturato di vendita di tali prodotti, la Sicilia si trova al quarto posto alle spalle di Calabria, Campania e Puglia. Il fatturato è sceso, passando da 6,6 mln di euro a 6 mln di euro, mandando in fumo in un solo anno oltre 560 mila euro. La quota occupata di mercato è del 15%, stessa percentuale della Sardegna, il 2 per cento meno della Calabria (che nello stesso anno ha fatto registrare una crescita di fatturato di 2 miliardi), il 4 per cento meno della Campania, il 17 per cento meno della Puglia.
Stando ai numeri, il futuro della Sicilia nel mercato dell’export delle eccellenze è tutt’altro che roseo, eppure la politica regionale ha accolto con favore l’andamento positivo del rapporto dell’economia del Mezzogiorno.
“I dati del rapporto Ismea – Svimez sull’agricoltura confermano che la Sicilia è migliore di come la rappresentiamo. Crescono export, produzione ed occupazione. Dobbiamo sconfiggere quel vittimismo che prevale nel mondo agricolo e che spesso anche i media tendono ad assecondare”, ha dichiarato a seguito dell’uscita del dossier l’assessore regionale all’Agricoltura Antonello Cracolici.
Ed effettivamente c’è ancora una speranza per la Sicilia, ovvero quella rappresentata dagli under 35 che scelgono di sposare, nonostante tutto, la causa del terzo settore. Ecco un quadro della situazione a Sud: in Basilicata, Calabria e Molise, le iscrizioni di nuove attività da parte degli under 35 superano il 38% del totale nei primi 9 mesi del 2016, in Campania rappresentano il 37,5%, in Sicilia il 36,8% e in Sardegna il 33,6% a fronte di una media nazionale intorno al 31%.
Rimane, tuttavia, apertissimo il problema legato all’export e lo dimostrano nuovi numeri del rapporto Ismea-Qualività 2016. Tra le 20 province censite per impatto economico nel sistema Dop ed Igp in Italia non c’è nessun territorio siciliano, ma si trovano territori campani (Caserta è 16° e Salerno 19°). L’analisi comprende sia i prodotti food che wine. Si assicura il bottino massimo, e vince la scommessa dell’export delle eccellenza, la provincia di Parma che grazie ad un guadagno complessivo di 1.136 milioni di euro ottenuto nell’anno 2016 è il primo territorio italiano che trae profitto dall’esportazione all’estero.
 

 
Ettore Pottino, presidente Confagricoltura Sicilia, esamina le criticità
 
PALERMO –  Confagricoltura Sicilia non è esattamente d’accordo con le dichiarazioni ottimistiche fatto dall’assessorato all’Agricoltura rispetto il buon andamento del comparto agricolo siciliano. “Questo quadro roseo è erroneo e anche nei precedenti rapporti c’è un problema. La produzione è aumentata, ma il dato sottovalutato è l’indice di redditività – ha dichiarato il presidente di Confagricoltura Sicilia Ettore Pottino -. In maniera ormai fisiologica l’agricoltura ha un indice di redditività sempre più basso. Di fronte ad un’evoluzione del sistema economico questo fattore dovrebbe crescere ed invece nel nostro primo settore non solo è fisiologicamente più basso, ma è diminuito ulteriormente. Questo vuol dire – ha spiegato Pottino – che gli agricoltori hanno da un lato contribuito ad un innalzamento della produzione a spese del proprio reddito e che dall’altro non ci hanno guadagna nulla. La crescita del comparto agricolo sta avvenendo a spese del reddito degli agricoltori siciliani”.
Riguardo l’export di Igp e prodotti Dop il presidente Confagricoltura Sicilia ha spiegato: “In Sicilia abbiamo un sacco di binari morti, prodotti riconosciuti che non hanno un particolare mercato. Bene l’attenzione con i comitati locali, ma i prodotti rimangono etichette senza una strategia di mercato. Le nostre eccellenze sono dei nani rispetto a grandi colossi come la mozzarella di bufala campana o il prosciutto di Parma. Fuori dalla Sicilia c’è una capacità aggregativa che a noi manca, solo i numeri sono gli elementi che possono incidere. Guadagniamo briciole, quando ci sono in ballo milioni di euro in scenari economici molto più importanti”.
 


Maurizio Lunetta, presidente della Doc Sicilia, analizza il settore
 
PALERMO – Nel giorno in cui il Presidente Usa Donald Trump ha dato comunicazione dei dazi che interesseranno l’ingresso dei prodotti d’importazione straniera negli Stati Uniti, abbiamo sentito il presidente della Doc Sicilia, Maurizio Lunetta. Ci ha risposto dal Ministero dell’Agricoltura, dove era impegnato in un incontro, spiegandoci come la questione export in particolare e in particolare per i vini siciliani sia fondamentale per creare economia dalle eccellenze siciliane.
“La Doc Sicilia raccoglie il 64 per cento dell’imbottigliamento siciliano – ci ha spiegato – il nostro scopo non è soltanto cercare di rendere il nostro vino competitivo nei mercati strutturati (Europa), ma costruire una strategia vincente nei nuovi mercati: quello asiatico, quello americano e quello australiano. Proprio negli Stati Uniti abbiamo fatto un investimento da 4 milioni di euro e stiamo ora raccogliendo i primi risultati: la Sicilia è tra le prime regioni per crescita del volume di vendita negli Stati Uniti. In America rimaniamo ancora indietro per prodotti come il prosecco, il Grillo invece sta andando benissimo. La domanda comincia ad essere sostenuta, e come secondo step puntiamo alla valorizzazione del Frappato. è un vitigno che in termini di purezza sta avendo grande successo nei paesi del Nord Europa”. L’appeal del vino siciliano non è ancora forte, per questo anche qui servono accorgimenti. “Per mantenere questi livelli è chiaro bisogna continuare ad investire parecchio – ha evidenziato Maurizio Lunetta -. In Nuova Zelanda e in Cile non c’è ancora molto volume, ma sono mercati su cui puntare perché i cittadini spendono. è una notizia molto positiva l’opportunità ottenuta dal 1° gennaio 2017 di poter far viaggiare i nostri vini con un codice dogale proprio, ovvero che indichi l’esatta provenienza della bottiglia. Nel recente passato è accaduto che gran parte del nostro vino finisse nel bilancio esportativo di porti come quello di Ravenna o Genova semplicemente perché in Sicilia non ci sono infrastrutture con collegamenti diretti verso i mercati di destinazione. Questo non ci ha permesso di sapere effettivamente quanto vino siciliano fosse venduto come tale, dunque non avevamo dati certi sull’export regionale”.
Alla domanda se alla Sicilia manca una strategia esatta riguardante l’export, il presidente Doc Sicilia ha risposto: “Con altri prodotti è vero, nel vino questa realtà vale meno”.

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