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Istat: in Italia crescono le diseguaglianze sociali

redazione

Istat: in Italia crescono le diseguaglianze sociali

giovedì 18 Maggio 2017

Scompaiono classe operaia e piccola borghesia, si allarga il divario Nord-Sud

ROMA – È una Italia dove le vecchie classi sociali hanno perso significato quella fotografata dall’Istat nel rapporto annuale presentato ieri a Roma, dove le diseguaglianze aumentano e i più penalizzati sono gli stranieri e le coppie con figli, tutti a basso reddito. La classe operaia e la classe media “sono sempre state le più radicate nella struttura produttiva del nostro Paese. Oggi la prima – scrive l’Istat – ha abbandonato il ruolo di spinta all’equità sociale mentre la seconda non è più alla guida del cambiamento e dell’evoluzione sociale (in termini sia produttivi sia di costumi)”.
Le classi sociali che sopravvivono sono la classe media impiegatizia, ben rappresentabile nella società italiana, ricadendo per l’83,5% nelle famiglie di impiegati e quella dirigente, che è la classe dell’innovazione sociale, in quanto detentrice dei mezzi di produzione e del potere decisionale, con un titolo di studio che di fatto determina l’appartenenza a questa classe privilegiata.
Una disgregazione, quella delle vecchie classi sociali che approfondisce ulteriormente le diseguaglianze tra Nord e Sud. Periste infatti il dualismo territoriale del Paese: nel Mezzogiorno sono più presenti gruppi sociali con profili meno agiati, al Centro-nord gruppi sociali a medio o alto reddito, anche se le famiglie a basso reddito con stranieri, per scelte lavorative e minori legami territoriali, risultano prevalentemente collocate nelle zone settentrionali del Paese.
I gruppi sociali a basso e medio reddito risiedono più frequentemente nelle aree rurali e mediamente urbanizzate: il 29,3% delle famiglie tradizionali della provincia nelle aree rurali e il 46,1% nelle aree a media urbanizzazione; il 28,3% dei giovani blue-collar nelle aree rurali e il 45,8% in quelle a media urbanizzazione. Non a caso, la maggioranza assoluta della classe dirigente risiede in aree altamente urbanizzate (51,6%); nelle stesse aree, ma in misura minore, vivono le famiglie delle pensioni d’argento (39,3%) e quelle a basso reddito con stranieri (37,8%). Nel 2015 la povertà assoluta ha riguardato circa 1,6 milioni di famiglie, pari al 6,1% delle famiglie residenti.
Nella fotografia scattata dall’Istat, sono le famiglie a basso reddito con stranieri le più disagiate: sono circa 1,8 milioni (7,1%), spesso persone sole (35,7%) o coppie senza figli (34,4%), per un totale di 4,7 milioni di individui (7,8%). È il gruppo più giovane, con l’età media della persona di riferimento pari a 42,5 anni, e presenta le peggiori condizioni economiche, con uno svantaggio di circa il 40% rispetto alla media. Nonostante gli occupati siano prevalentemente in posizioni non qualificate, nella metà dei casi la persona di riferimento possiede un diploma di scuola secondaria superiore e uno su dieci ha un titolo universitario.
A seguire nella fascia del disagio sociale troviamo le famiglie a basso reddito di soli italiani sono 1,9 milioni (7,5%) e comprendono 8,3 milioni di individui (13,6%). Sono famiglie generalmente numerose (4,3 componenti in media), in oltre il 90% dei casi si tratta di coppie con figli. La persona di riferimento ha in media 45,5 anni, un titolo di studio basso (licenza di scuola media inferiore per uno su due), è operaio in sei casi su dieci. Il reddito familiare è circa il 30% in meno della media nazionale dei redditi equivalenti mentre la distribuzione del reddito all’interno del gruppo risulta piuttosto diseguale. Un terzo delle persone è a rischio povertà.

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