Prima i nostri poveri poi gli immigrati poveri - QdS

Prima i nostri poveri poi gli immigrati poveri

Carlo Alberto Tregua

Prima i nostri poveri poi gli immigrati poveri

venerdì 18 Dicembre 2009

Scontro a Milano fra Lega e Tettamanzi

Abbiamo atteso qualche giorno prima di commentare lo scontro fra Roberto Calderoli e Dionigi Tettamanzi. Il cardinale di Milano ha difeso a spada tratta, come fa tutto il Vaticano, l’ingresso ad libitum di immigrati da qualunque parte provengano. Essi chiedono, ovviamente, asilo politico. Con ciò creando un’immissione di persone al di fuori dell’ordinamento giuridico e di ogni regola di un’ordinata comunità.
Il ministro per la Semplificazione normativa, Roberto Calderoli, ha preso la palla al balzo e ha definito il cardinale “L’imam di Milano”, ovvero colui che si occupa dei poveri che vengono dall’estero, mentre dovrebbe occuparsi dei nostri poveri.
La questione è seria: perché, da un canto, vi è la necessità religiosa di dare ospitalità a tutti, dall’altro c’è un ministro dello Stato che richiama alla realtà, fatta di numeri e di risorse finanziarie.

Tutti leggiamo delle antipatie e delle inimicizie che si sta attirando il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, nel dire no a tanti ministri e ad altri che chiedono risorse finanziarie. D’altra parte, con un buco nel Pil che si può già stimare in 75 miliardi c’è poco da scherzare. Non possiamo certo ridurci come la Grecia, che dopo sessant’anni dalla guerra è sull’orlo del fallimento per i dissennati comportamenti dei governi di centrodestra e centrosinistra, che hanno allargato i cordoni della borsa senza limitazioni.
In Italia, la spesa pubblica è attestata su circa 800 miliardi di euro, oltre la metà del Pil. Solo la Pubblica amministrazione, secondo il ministro Renato Brunetta, costa ben 300 miliardi. Non c’è dubbio che le due cifre possano essere potate e subire un dimagrimento che, anche solo nella misura del 5 per cento, comporterebbe rispettivamente una diminuzione di 40 miliardi della spesa complessiva e di 15 miliardi della spesa della Pa.
I paletti della spesa pubblica non possono essere spostati in avanti, anche per restare all’interno del Patto europeo di stabilità. La capacità del Governo viene dimostrata se, all’interno di esso, saprà razionalizzare l’organizzazione della Pa, risparmiare e girare le risorse agli investimenti.

 
In Italia, l’Istat ha stimato la presenza di circa 6-7 milioni di poveri, che vivono con redditi talmente bassi da richiedere l’intervento pubblico a carico della fiscalità generale. Le famiglie povere sono tante e occorre intervenire in loro soccorso. Il Governo ha distribuito 450 mila social card le quali dovrebbero essere ricaricate con 40 euro al bimestre, cioè poco meno di 250 euro all’anno, ma basterebbe una ricarica per spendere qualche centinaio di milioni di euro. Somme ben spese, ma che vanno reperite nel bilancio dello Stato. Tali spese hanno la precedenza rispetto a quelle necessarie per l’accoglienza di immigrati.
La solidarietà deve essere manifestata concretamente prima in casa nostra e poi, se vi sono ancora risorse, nei confronti dei terzi. Semmai, la solidarietà internazionale deve manifestarsi inviando nei Paesi poveri risorse finanziarie e non già aiutare gli immigrati nel nostro Paese, ove creano disordine in quanto la loro presenza è soprattutto clandestina.

Un Paese non si governa con la carità, ma con un insieme di regole eque che tengano conto di meriti e bisogni. Due valori che non si contrappongono ma si affiancano perché riguardano diverse categorie di persone umane.
I bisogni dei deboli, di tutti i cittadini – italiani e non – iscritti all’anagrafe, debbono essere soddisfatti anche parzialmente. Gli altri bisogni devono essere messi in coda se rimangono residuali possibilità di soddisfarli.
La questione che commentiamo è semplice, non c’è da girarci intorno: si tratta di formare una scala di priorità che chi governa deve soddisfare, in un ordine rigoroso, senza mollezze e considerazioni del tipo: Tutti tengono famiglia.
Il pietismo non porta da nessuna parte, salvo che alla disgregazione della società, la quale deve far fronte alle esigenze dei propri cittadini in proporzione alla loro capacità di reddito: più sono autosufficienti, meno lo Stato deve intervenire; meno sono autosufficienti e più lo Stato deve aiutare.
Regole chiare e trasparenti sulle quali nessuno deve azzardarsi a giocare.

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