Sicilia, il turismo non fa cassa - QdS

Sicilia, il turismo non fa cassa

Rosario Battiato

Sicilia, il turismo non fa cassa

martedì 18 Luglio 2017

Bankitalia: nell’Isola solo 42 Comuni hanno adottato l’imposta di soggiorno, il 4% del totale nazionale. Incassati 8,6 mln di euro. Altri 8 mln di mancato gettito tolti ad eventi e ristrutturazione di borghi e monumenti

PALERMO – Prima c’era solo Roma, poi è arrivato il resto d’Italia. Agrigento è una delle ultime: la tassa di soggiorno nella Città dei Templi si applica dal 15 luglio. In Sicilia lo sforzo è ancora minimo, sebbene l’imposta, nel 2015, sia riuscita a produrre, secondo l’ultimo rapporto “Economie regionali” della Banca d’Italia presentato a Palermo nelle scorse settimane, “un flusso di cassa pari a quello dell’addizionale comunale Irpef”.
 
Si può fare di più: gli ultimi dati hanno registrato appena 42 comuni isolani (973 in Italia, solo il 4% in Sicilia) con l’imposta di soggiorno (10,7% del totale regionale e 19% sul totale di quelli eleggibili) che equivale a un’incidenza del 57% dei posti letto nei comuni con imposta sul totale dei comuni. In altri termini, gli 8,6 milioni di euro, cioè le entrate nel 2015 relative all’imposta nell’Isola, nascondono un potenziale stimato in almeno 15 milioni di euro all’anno, considerando l’intera portata dei posti letto regionali. Soldi che servirebbero a finanziare eventi, a rivitalizzare gli 829 borghi presenti nell’Isola (solo pochi dei quali riescono ad attrarre visitatori), a consolidare monumeti e siti archeologici che soffrono il peso degli anni e la mancanza di una politica che metta la cultura e lo sviluppo dell’industria blu ai primi posti della propria agenda.
La normativa di riferimento risale a circa sette anni fa, quando con il decreto legge n.78 fu permessa per il solo Comune di Roma “al fine di garantire l’equilibrio economico-finanziario della gestione ordinaria”, si legge nella relazione sulla gestione finanziaria degli enti locali della Corte dei Conti  dello scorso febbraio. Soltanto in seguito “è stata introdotta in via generalizzata dal decreto legislativo 14 marzo 2011 n. 23, recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale, che all’art. 4 comma 1 ha riconosciuto ai Comuni Capoluoghi di Provincia, alle Unioni di Comuni nonché ai Comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte, la facoltà di istituire, con deliberazione del consiglio, un’imposta di soggiorno a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate sul proprio territorio, da applicare secondo criteri di gradualità in proporzione al prezzo e, comunque, entro un limite per notte di soggiorno prefissato dalla stessa norma”.  
Non tutto è andato come previsto, la magistratura contabile ha sottolineato come “l’attuazione dell’imposta è stata, tuttavia, caratterizzata da incongruenze ed incertezze non essendo, ad oggi, ancora stato adottato il regolamento che, entro sessanta giorni dalla entrata in vigore del decreto stesso, avrebbe dovuto dettare la disciplina di dettaglio”. Gli enti locali hanno così operato in maniera differente, limitandosi ad agire sulla base della facoltà prevista dall’art. 4 comma 3 del decreto legislativo 14 marzo 2011 n. 23, cioè attivandosi in autonomia “nel caso di mancata emanazione del regolamento previsto”. La casistica adottata dalle Regioni risulta pertanto abbastanza variegata.
Pur senza un’applicazione coerente sul territorio nazionale e con potenzialità ancora inespresse in Sicilia, l’imposta ha già un suo peso specifico. La Banca d’Italia, nel report sulle “Economie regionali”, ha specificato che le riscossioni relative all’imposta di soggiorno sono state pari a circa 8,6 milioni di euro, registrando una porzione pari all’1,4% del totale delle imposte. Sono 42 i comuni ad applicarla, un quinto di quelli considerati eleggibili, cioè ai quali è stato concesso di poter applicare la tassa sul proprio territorio.

Le tariffe variano per città e struttura
: a Catania si passa da 1 euro fino a 2,50 euro al giorno (regolamento sull’imposta di soggiorno nella città di Catania, approvato con delibera di Consiglio comunale n.26 del 30 agosto 2011), a Palermo da 50 centesimi fino a 4 euro (regolamento per l’applicazione dell’imposta di soggiorno, deliberazione del Consiglio comunale n.73 del 9 aprile 2014). Nel complesso, calcolando una media da 2 euro per notte, è possibile stimare che l’intera riscossione da 8,6 milioni di euro sia stata prodotta da 4,3 milioni di pernottamenti nel 2015. “Sembra una cifra a bassa incidenza (la riscossione, ndr) – ha spiegato Giuseppe Ciaccio, coordinatore della ricerca della Banca d’Italia – ma in realtà nei comuni dove più elevata è la dotazione di posti letto rispetto al numero di residenti, l’imposta di soggiorno ha generato un flusso di cassa pari a quello dell’addizionale comunale Irpef”.
 

 
Più di duecento comuni siciliani sono “eleggibili”
 
PALERMO – L’analisi Corte dei Conti evidenzia una grande varietà di situazioni in merito all’applicazione dell’imposta. Nel complesso risulta che più della metà (51,5%) del totale dei Comuni italiani soddisfano il presupposto per la sua applicazione e che il maggior numero di questi Enti (41,7%) si trova in Veneto, Piemonte e Lombardia.
In base alla normativa nazionale e a quella regionale, si legge nel rapporto della Banca d’Italia, in Sicilia i Comuni che nel 2015 avevano la facoltà di istituire l’imposta erano circa il 57 per cento del totale. “Tra questi, oltre ai 9 Capoluoghi di provincia, vi erano 180 Comuni appartenenti a unioni e 24 Comuni non appartenenti alle precedenti categorie ma inseriti negli elenchi delle località turistiche”. L’imposta è stata istituita in 42 comuni, un quinto di quelli aventi diritto ma, essendo di dimensioni maggiori, rappresentavano “oltre il 40 per cento della popolazione regionale e quasi il 60 per cento dei posti letto disponibili nelle strutture ricettive”.
Puntare sul turismo è determinante, anche nell’ottica del coinvolgimento degli altri settori. “Il settore turistico è importante, può essere trainante ma non decisivo – ha precisato Antonio Cinque, direttore della sede palermitana della Banca d’Italia – lo diventa se riesce a trainare altri settori, come l’intera filiera agroalimentare, il settore alberghiero, e, in prospettiva, quello delle costruzioni”.
 

 
Come funziona l’imposta e chi è tenuto a pagarla
 
PALERMO – L’imposta di soggiorno si applica a carico dei soggetti non residenti che soggiornano nelle strutture ricettive presenti sul territorio. “Tale tributo è quindi privo della corrispondenza tra rappresentanza e tassazione – si legge nel rapporto della Banca d’Italia sulle Economie regionali –, in quanto il soggetto che ne subisce l’onere di norma non elegge colui che lo impone, ma è inquadrabile all’interno del principio generale secondo il quale chi produce un’esternalità negativa a danno di una collettività è chiamato a condividerne gli oneri (‘chi inquina paga’)”.
Del resto è stato predisposto, almeno nelle intenzioni del legislatore, proprio per finanziare “a livello locale interventi in materia di turismo, di manutenzione, utilizzo e recupero dei beni culturali e ambientali, nonché dei relativi servizi pubblici locali”.
La normativa prevede l’istituzione dell’imposta da parte dei Comuni capoluogo di provincia, dalle unioni di comuni e da quelli inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o delle città d’arte, ed esclusi casi particolari non può superare 5 euro per notte. Nei territori delle isole minori si può applicare, alternativamente, un’imposta di sbarco da pagare insieme al biglietto.
Adesso le cose potrebbero cambiare, secondo lo studio della Banca d’Italia. “Gli Enti hanno potuto manovrare pienamente questa imposta fino al 2015; dal 2016 le leggi di bilancio dello Stato hanno sospeso l’efficacia delle deliberazioni riguardanti l’istituzione e l’incremento di tributi e di addizionali”.

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