Minacce mafiose per controllare la Pubblica amministrazione - QdS

Minacce mafiose per controllare la Pubblica amministrazione

Valeria Arena

Minacce mafiose per controllare la Pubblica amministrazione

giovedì 20 Luglio 2017

Commissione Antimafia e associazione Avviso pubblico: intimidazioni costanti contro gli amministratori locali. Nel 2016 in Sicilia 86 casi. Così le “famiglie” si infiltrano nella Cosa pubblica

PALERMO – La Sicilia è al momento la seconda regione d’Italia per numero di atti intimidatori subiti dagli amministratori locali. Su un totale nazionale di 171 casi accertati, distribuiti lungo un arco di tempo di cinque mesi (gennaio-maggio 2017), l’Isola si è infatti posizionata subito dopo la Campania (a quota 46), con 31 episodi registrati.  Questi i dati di inizio anno sugli “Amministratori sotto tiro”, snocciolati qualche giorno fa a Casal di Principe (Caserta), durante la presentazione del sesto rapporto di Avviso pubblico (associazione che raggruppa Enti locali e Regioni) sul conflitto tra Pubblica amministrazione e criminalità organizzata. Numeri che, anche per il 2017, rimangono in linea con quelli presentati e analizzati gli scorsi anni. Com’era facile ipotizzare, infatti, le regioni del Sud, luogo di origine delle diverse organizzazioni criminali operanti sul territorio nazionale, si confermano tra i territori più colpiti.

La Campania guida la classifica con il 27% dei casi censiti, seguita da Sicilia (18%), Puglia (13%) e Calabria (12%). Solo il Meridione e le Isole raccolgono il 79% delle intimidazioni, contro il 21% dell’area Centro-Nord, dove la regione più colpita è la Lombardia, da tempo sotto la lente di ingrandimento perché nuovo centro gravitazionale delle organizzazioni criminali di carattere mafioso, seguita dal Veneto e dal Lazio.
“Le organizzazioni criminali – ha commentato Antonello Ardituro, magistrato e componente del Csm, a margine della presentazione – sono cambiate ed è cambiato anche il loro modus operandi, orientarsi oggi è diventato complicato. Fino a questo momento abbiamo combattuto l’ala militare e fatto una generale opera di bonifica, ma se continuiamo a pensare che tanto basti, perdiamo tempo prezioso e torneremo alla necessità di combattere di nuovo”.
L’atto intimidatorio, peraltro, ha come obiettivo ultimo, al di là dell’arricchimento economico e materiale, il controllo politico-amministrativo del territorio attraverso la figura del amministratore di turno, spesso tenuto in pugno con la forza.
Tornando ai dati presentati, come già accennato, essi sembrano confermare una situazione già allarmante negli anni passati. Nel 2016, infatti, Avviso pubblico ha censito 454 atti intimidatori, di minaccia e violenza nei confronti degli amministratori locali, uno ogni 19 ore, numeri che rispetto al 2011, anno del primo rapporto, sono più che raddoppiati. Anche in questo caso, il 76% degli episodi registrati si è concentrato al Sud e nelle Isole, con la Calabria al primo posto (87), seguita dalla Sicilia, che conferma la sua seconda posizione a quota 86, dalla Campania (64), dalla Puglia (51) e dalla Sardegna (42). L’Isola, inoltre, è stata al vertice di questa triste classifica nel 2014, con 70 atti intimidatori, e nel 2015, con 91 casi individuati.
A livello provinciale gli episodi censiti hanno coinvolto 46 Comuni e tutte e nove le province siciliane: Agrigento con 16, Palermo e Caltanissetta a quota 13, Siracusa a 12, Catania e Ragusa ferme a 9, Trapani con 7, Enna a 4 e Messina a chiudere la classifica con 3 casi.
“La presenza mafiosa – si legge nel documento – tende ad affossare o limitare la crescita economica in Sicilia. Il tasso di disoccupazione della regione è al 21,4%, quello giovanile sfiora il 56%. L’indice di povertà relativa è al 25,3% e la percentuale di individui appartenenti al quinto di reddito più povero è pari al 42,8% (dati Svimez 2016). Tutti elementi che contribuiscono a creare un clima in cui aumentano le probabilità per gli amministratori locali di essere minacciati e intimiditi”.
Nel corso degli anni, infatti, la pressione della criminalità organizzata sulla Pubblica amministrazione non si è ridotta, anzi nel caso di territori come Caltanissetta e Siracusa è addirittura aumentata in maniera vertiginosa. Agrigento, inoltre, prima provincia isolana per numero di intimidazioni, si posiziona al settimo posto della classifica nazionale, confermando l’incremento degli episodi già registrato nel 2015.

Palermo, Trapani, Catania e Messina sono invece le uniche province in controtendenza rispetto al resto dell’Isola.
Entrambe, infatti, hanno fatto registrare nel 2016 un calo degli atti intimidatori rispetto all’anno precedente: il capoluogo siciliano ne ha contati 13, contro i 22 del 2015, mentre Catania 9 (contro 12), Trapani 7 (diminuiti di 6) e Messina soltanto 3, contro i precedenti 11. In quest’ultimo caso, però, spicca l’attentato fallito al presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, che ha avuto grande rilievo pubblico anche a livello nazionale.
 


Gli Enti locali nel mirino per mantenere il potere
 
PALERMO – Anche la Commissione nazionale Antimafia, presieduta da Rosy Bindi, ha confermato la presenza diffusa e pervasiva di Cosa Nostra nel tessuto amministrativo siciliano. Nell’ultima relazione annuale, relativa all’anno 2016, si legge infatti che l’opera di infiltrazione ha raggiunto ogni settore dell’attività economica e finanziaria, oltre che i “meccanismi di funzionamento della Pubblica amministrazione, in particolare nell’ambito degli Enti locali”.
La Commissione ha suddiviso le pagine del documento dedicate a Cosa Nostra per distretti giudiziari e provincie, individuando in Palermo il fulcro decisionale e operativo dell’intera organizzazione mafiosa ed evidenziando come la volontà di infiltrarsi e controllare l’mministrazione locale sia ormai una pratica abitudinaria per la criminalità isolana. Ad Agrigento, per esempio, si sottolinea nel rapporto, “assume rilievo strategico avere tra i propri ranghi o tra i contigui, soggetti politici in grado di dirigere, coordinare o intervenire in attività amministrative ed economiche ritenute di interesse per l’associazione mafiosa”. A Trapani, invece, il settore delle energie rinnovabili ha spinto le organizzazioni criminali a tessere rapporti d’affari con funzionari pubblici e soggetti attivi nella catena autorizzativa. Il pattern quindi è sempre lo stesso: minacciare e controllare l’amministrazione locale per fare affari, arricchirsi e mantenere allo stesso tempo un potere politico-amministrativa sul territorio.
Stessa situazione per Caltanissetta, dove i canali preferenziali comprendono ancora il controllo esercitato su alcune amministrazioni comunali, e Messina, per la quale spicca la vicenda dello stabilimento balneare di Mortelle, “posto in liquidazione coatta, ottenuta da Luigi Tibia (nipote di Luigi Galli, storico esponente del clan di Giostra) attraverso la turbativa di gara pubblica e la collusione del commissario liquidatore o, più in generale, l’acquisizione di svariate attività imprenditoriali attraverso l’impiego dei proventi derivanti dalle attività illecite o, ancora, le forme di illegalità connesse al cosiddetto scambio elettorale”.
Infine Catania, tra i territori più emblematici e interessanti dal punto di vista delle analisi relative ai fenomeni criminali di stampo mafioso: le cosche locali, sottolinea la commissione Antimafia, hanno ormai trasformato in abitudine “la tendenza a stipulare accordi con alcuni politici e amministratori locali, anche mediante patti di scambio di occasione di competizioni elettorali al fine di intercettare risorse pubbliche erogate con gli appalti”.

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