Ma non è solo intorno al tanto discusso Statuto speciale che si gioca l’eterno braccio di ferro tra Roma e la Regione siciliana.
Dal 2001 al 2016, i 34 ricorsi presentati da Palazzo Chigi contro la Sicilia si sono tradotti in 24 sentenze, di cui 6 hanno visto “vittorioso” lo Stato. I 43 ricorsi presentati invece dalla Sicilia hanno prodotto 39 sentenze, di cui 13 di illegittimità di disposizioni messe a punto da Roma.
Al momento, sono cinque i ricorsi pendenti innanzi la Corte costituzionale: cinque norme approvate dall’Assemblea regionale siciliana che Roma ha impugnato.
Un solo ricorso presentato dalla Sicilia risulta pendente e riguarda la Legge di Bilancio 2017.
In particolare, il Governo Crocetta aveva stabilito di ridurre il concorso alla finanza pubblica da parte della Sicilia per gli anni 2015, 2016 e 2017, per un importo di 98 milioni 638 mila euro per ciascuno dei 3 anni a seguito dell’intesa sancita nella Conferenza Stato-Regioni. Previsto anche il prelievo dal Fondo per lo sviluppo e la coesione per concorrere agli obiettivi di finanza pubblica per un importo di 673,548 milioni di euro per ciascuno dei 3 anni. Il Governo aveva anche deciso di accantonare in un apposito fondo le ritenute sui redditi di coloro che hanno residenza fiscale in Sicilia, in attesa della definizione dell’accordo per il riconoscimento da parte dello Stato alla Regione di tale facoltà. La Camera di Consiglio si è tenuta il 27 settembre.
Quattro gli articoli impugnati, 3,11,14 e 16. Sebbene l’art. 14 dello Statuto stabilisca che è la Regione ad avere la potestà legislativa in materia di urbanistica, “la disciplina unitaria e complessiva del bene ambiente – si legge nel ricorso – inerisce a un interesse pubblico di valore costituzionale primario ed assoluto e deve garantire un elevato livello di tutela, come tale inderogabile da altre discipline di settore e che pertanto la legislazione statale deve prevalere rispetto a quella dettata dalle regioni o dalle province autonome, salvo che queste ultime non intervengano in modo più rigoroso rispetto a quanto previsto dalla normativa statale”.
L’udienza si è svolta il 26 settembre scorso, ma anche in questo caso non si conosce ancora il verdetto della Corte Costituzionale.
L’articolo è basilare perché riguarda i prezzi dell’acqua e anche questa volta ci troviamo di fronte ad un ricorso per questioni di legittimità costituzionale: “Denunciata adozione di una disciplina difforme da quella contenuta nelle norme statali di riferimento costituenti norme fondamentali di grande riforma economico sociale – Prosecuzione del prelievo incontrollato della risorsa con potenziale effetto pregiudizievole per la finanza pubblica – Contrasto con il diritto dell’Unione europea in tema di utilizzazione delle risorse idriche – Eccedenza dalle competenze statutarie regionali in materia – Violazione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente”.
Nel ricorso viene citata, tra le altre, la violazione dell’articolo 14 dello Statuto e dell’art. 117 della costituzione.
L’udienza è stata fissata per il prossimo 10 ottobre.
Il ricorso del Governo lamentava disparità di trattamento rispetto ai contribuenti delle altre regioni e la competenza legislativa esclusiva statale nelle materie del sistema tributario e contabile. In pratica, secondo il Consiglio dei ministri al contribuente che non abbia pagato il bollo auto non si può inviare direttamente la cartella di pagamento senza prima metterlo nella condizione di conoscere il proprio debito attraverso l’invio di una lettera di diffida.
Viene così considerata incostituzionale la legge regionale che stabilisce la possibilità di iscrivere a ruolo le somme non versate a titolo di bollo auto senza prima aver notificato un avviso di accertamento. Una disposizione del genere, qualora esistente, priva il contribuente del diritto costituzionale alla difesa preventiva e al contraddittorio; pertanto, è stata impugnata innanzi alla Consulta.
L’udienza pubblica è stata fissata per il prossimo 23 gennaio del 2018.
La norma impugnata è la n.4 del primo marzo 2017. In particolare, l’articolo 3 che tratta appunto le nomine.
L’impugnativa è stata decisa in quanto una norma, riguardante la nomina dei direttori generali delle aziende sanitarie eccedeva le competenze attribuite alla Regione dallo Statuto speciale e in quanto prevede commissariamenti non consentiti dalla normativa statale di riferimento si pone in contrasto con i principi fondamentali in materia di tutela della salute, in violazione dell’art.117, terzo comma, della Costituzione e dei principi di ragionevolezza, di adeguatezza, e di buon andamento dell’amministrazione di cui agli artt. 3 e 97 della Costituzione. Con quella legge, l’Ars aveva cercato di bloccare la possibilità di nominare nuovi manager in sanità.
L’udienza pubblica si terrà il 9 maggio del 2018.
Riguarda l’articolo 1 della legge nazionale 232 dell’11 dicembre del 2016. “Risultati differenziali. Norme in materia di entrata e di spesa e altre disposizioni. Fondi speciali”.
In questo articolo viene esteso il concorso da parte delle regioni alla finanza pubblica fino al 2020 dell’entità già prevista per gli anni dal 2016 al 2019. La Regione Sicilia denuncia violazione dei principi a garanzia degli equilibri di bilancio delle pubbliche amministrazioni, la lesione dei parametri statutari in materia finanziaria, incidenza sull’organizzazione amministrativa regionale – lesione delle prerogative legislative e amministrative regionali – violazione dell’autonomia finanziaria regionale – contrasto con il canone di transitorietà riferito a precedenti manovre – violazione della competenza regionale nella materia di legislazione concorrente relativa al coordinamento della finanza pubblica e violazione del principio di leale collaborazione.
L’udienza pubblica si terrà il 6 marzo del 2018.