Bonifiche, Comuni sordi e muti - QdS

Bonifiche, Comuni sordi e muti

Rosario Battiato

Bonifiche, Comuni sordi e muti

mercoledì 06 Dicembre 2017

Senza studi propedeutici ai lavori, l’esclusione dall’Anagrafe dei siti contaminati fa perdere i finanziamenti. Le gravi inefficienze degli Enti locali mettono a rischio la salute dei cittadini

PALERMO – Ci sono 42 provvedimenti di “espunzione dall’Anagrafe dei siti contaminati” che si rintracciano tra i decreti firmati nel mese di novembre dal dirigente generale del Dipartimento dell’Acqua e dei rifiuti, Gaetano Valastro, e che si aggiungono ad altri tre che erano stati segnalati nel mese di ottobre. In totale fanno 45 siti contaminati provvisoriamente cancellati dal Piano regionale delle bonifiche in appena due mesi perché, in diversi casi, i Comuni non hanno i fondi a sufficienza per finanziare gli studi necessari anche se i progetti, tramite il Patto per la Sicilia, avrebbero potenzialmente dei fondi a disposizione per essere bonificati.
 
Un problema serio per una Regione che complessivamente detiene 454 siti contaminati (dati Arpa) in attesa di risanamento, vere e proprie bombe ecologiche provocate da ex discariche, serbatoi dei punti vendita di carburante, ma anche dalla vicinanza con i pericolosi siti di interesse nazionale.
 
Ce n’è per tutte le province dell’Isola, come dimostra un tour non esaustivo dei centri coinvolti che hanno visto presentarsi il decreto dirigenziale che annuncia il taglio, seppur provvisorio, dei loro siti contaminati dall’Anagrafe regionale: Agira, Aidone, Antillo, Assoro, Barrafranca, Caltavuturo, Camastra, Linguaglossa, Licodia Eubea, Lentini, Ispica, Geraci Siculo, Casteltermini, Marsala, Mascali, Nicosia, Palazzolo Acreide, Pozzallo, Raffadali, Randazzo.
 
La ragione, come accennato, è abbastanza semplice. I Comuni in questione non hanno presentato la documentazione completa richiesta dalla Regione in relazione all’eventuale superamento delle Csr (Concentrazioni soglia di rischio), cioè l’indicatore che garantisce, superata una certa soglia, l’inserimento nell’anagrafe dei siti da bonificare. “L’anagrafe – si legge sul sito dell’Ispra – è uno strumento predisposto dalle Regioni e dalle Province autonome previsto dalle norme sui siti contaminati (articolo 251 del D.Lgs. 152/06 e ss.mm.ii.), che contiene: l’elenco dei siti sottoposti a intervento di bonifica e ripristino ambientale nonché degli interventi realizzati nei siti medesimi; l’individuazione dei soggetti cui compete la bonifica; gli Enti pubblici di cui la Regione intende avvalersi, in caso d’inadempienza dei soggetti obbligati, ai fini dell’esecuzione d’ufficio”.
 
Non si tratta di roba da poco, perché l’inserimento nell’Anagrafe regionale garantisce un percorso preordinato nella gerarchia degli interventi di risanamento e anche nell’assegnazione dei fondi. A esemplificare questo passaggio è il caso che riguarda il Comune di Aidone in relazione alla discarica di contrada S. Bartolo. Dopo la nota del Dipartimento, nella quale si richiedeva di “relazionare entro 15 giorni (dal 23 novembre del 2016, ndr) in merito agli adempimenti finalizzati all’accertamento dell’eventuale superamento della Csr per la discarica di contrada San Bartolo, e contestualmente si avviava il procedimento di revoca del decreto di inserimento in anagrafe in autotutela per difetto di procedura per la discarica”, il Comune di Aidone aveva risposto di aver trasmesso il progetto di bonifica della discarica inserito nell’ambito del Patto per il Sud. Tutto inutile, perché il Dipartimento rispondeva che il progetto era stato inserito negli interventi da finanziare col Patto, ma che non risultava ancora “iniziato il procedimento ambientale finalizzato all’accertamento dell’effettivo stato di contaminazione del sito e ragion per cui la procedura di revoca del decreto di inserimento in anagrafe proseguiva per mancanza di requisiti”. Il sito è stato così eliminato dall’elenco, anche se all’Ente locale si lasciano 60 giorni di tempo per fare ricorso al Tar, oppure 120 per fare ricorso straordinario al presidente della Regione. Nella stessa situazione di Aidone ce ne sono molti altri.
 
Fuori dall’anagrafe diventa complicato, se non impossibile, farsi finanziare gli interventi di riqualificazione. Eppure c’è una ragione a monte che non permette ai Comuni di chiudere queste pratiche. Tra le tante note inviate alla Regione per giustificare l’assenza della determinazione dei valori di Csr, si rileva la difficoltà di percepire le risorse adeguate per finanziare le indagini richieste.
 
Da una parte c’è il rischio di perdere preziosi fondi nazionali e comunitari, dall’altra il mancato avvio di operazioni che avrebbero comunque portato occupazione nel nome della riqualificazione ambientale. Su tutto incombe una situazione veramente pericolosa, perché questi siti costituiscono un rischio costante per l’ambiente e per la presenza umana. L’Arpa definisce i siti contaminati come “aree nelle quali, in seguito ad attività umane svolte o in corso, è stata accertata, sulla base della vigente normativa, un’alterazione delle caratteristiche naturali del suolo da parte di un agente inquinante”. In Sicilia ci sono circa mezzo migliaio di aree inquinate che si distribuiscono, senza alcuna distinzione, tra tutte le province isolane. Il maggiore coinvolgimento si registra nell’area di Siracusa (93), Enna (80), Caltanissetta (77) e Palermo (68).
 

 
Ecco le cause delle criticità fra ex industrie e discariche
 
PALERMO – Per rintracciare le ragioni della contaminazione è necessario fare riferimento ai dati dell’Arpa Sicilia contenuti all’interno dell’annuario dei dati ambientali. Il maggiore coinvolgimento arriva da quelle che sono riconosciute emergenze siciliane ormai da diversi decenni: industrie, discariche e impianti dismessi.
Considerando i numeri in dettaglio, si scopre che la maggiore causa della nascita di un sito contaminato è la vicinanza con i Siti di interesse nazionale (32%). Un quarto dei casi (24%) deriva dalla cattiva gestione d’impianti e strutture (per esempio quella relativa a serbatoi interrati presenti nei punti vendita di idrocarburi). Sul podio delle cause anche la scorretta gestione delle discariche (16 %). Porzioni statistiche più contenute per le altre ragioni di contaminazione: gli incidenti nelle aree industriali attive (3%) e gli eventi accidentali (5%).
Si soffre sul fronte delle bonifiche. L’Agenzia regionale, all’interno della rapporto, ha scritto che “sebbene un buon numero di procedimenti sia stato avviato avvalendosi delle procedure semplificate previste per i siti di ridotte dimensioni (18 siti), soltanto in una minima percentuale di questi si è arrivati alla presentazione e approvazione dei progetti di bonifica”.
I dati relativi al 2015 registrano che gli iter di bonifica portati a conclusione non superano il 16%, una percentuale che risulta in crescita rispetto alle rilevazioni passate, ma che resta ancora insufficiente per consolidare un effettiva rivoluzione sul fronte delle bonifiche.
 
 

 
Uno sguardo alle procedure applicate nella nostra Isola
 
PALERMO – Le linee guida in materia di bonifica dei siti contaminati sono state apprezzate in Giunta regionale con la deliberazione del 23 marzo del 2016 e sono state pubblicate nella Gurs numero 17 del 22 aprile successivo. Sono proprio queste ultime a determinare l’iscrizione dei siti all’interno dell’Anagrafe – “è stato riconosciuto lo stato di contaminazione per una concentrazione degli inquinanti superiore alle Csr (concentrazioni soglia di rischio, ndr)”, si legge – e a valutare le indicazioni che non ne permettono l’inserimento. Queste ultime riguardano, appunto, i siti potenzialmente contaminati per i quali non è ancora stato riconosciuto lo stato di contaminazione, quelli in cui ricadono le discariche con contaminazione storica e quindi i siti “con certificazione liberatoria di mancata necessità di bonifica per il mancato superamento delle Csr di cui all’AdR (analisi di rischio sanitario-ambientale, ndr) sito specifica, eseguita con le condizioni antropiche-ambientali e di destinazione d’uso del sito”.
L’iscrizione in Anagrafe dei siti contaminati è disposta con “decreto del Dipartimento Regionale dell’Acqua e dei Rifiuti (dar) che provvede a darne comunicazione al Comune utilizzando il Modello H”. Il Comune, ricevuta la documentazione, ne deve dare comunicazione al soggetto obbligato (responsabile della contaminazione e/o proprietario non responsabile) e agli Enti territorialmente competenti e, in funzione della specifica destinazione d’uso del sito, provvede a “riportare il riconoscimento dello stato di contaminazione sul certificato di destinazione urbanistica, sulla cartografia e sulle norme tecniche di attuazione dello strumento urbanistico generale, nonché a darne comunicazione all’Ufficio Tecnico erariale competente”.

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