Vigneti siciliani, patrimonio a "rischio" - QdS

Vigneti siciliani, patrimonio a “rischio”

Michele Giuliano

Vigneti siciliani, patrimonio a “rischio”

mercoledì 24 Gennaio 2018

Contestato un decreto del ministero delle Politiche agricole che sancisce la trasferibilità fuori dalla regione. La preoccupazione della categoria: “In questo modo si svendono in titoli degli impiantisti alle grandi aziende”

PALERMO- Allarme tra gli agricoltori siciliani. Un decreto nazionale del ministero delle Politiche agricole permetterà alle aziende di trasferire i nostri titoli per l’impianto di vigneti al di fuori della regione.
 
“Il governo nazionale sta tentando un nuovo colpo di mano a danno della Sicilia, permettendo alle grandi aziende oltre lo Stretto di acquisire con due soldi i nostri titoli per trasferirli nei loro territori e ampliare così le loro superfici vitate. Un modo per impoverire noi e arricchire loro, che dobbiamo fermare” dice Antonino Cossentino, presidente della delegazione Sicilia occidentale Palermo-Trapani della Cia, commentando lo stralcio dal decreto del ministero delle Politiche agricole in materia di autorizzazione per gli impianti viticoli del comma che sancisce la non trasferibilità per l’impianto dei vigneti fuori regione. In tal modo, le autorizzazioni di impianto non saranno più vincolate al territorio.
 
La decisione che è stata comunicata alla Conferenza delle regioni, a Roma, e ha visto l’opposizione della Sicilia, con l’assessore regionale Edy Bandiera, e di altre regioni (Campania, Toscana, Umbria ed Emilia Romagna). La Commissione politiche agricole tornerà a riunirsi nei primi giorni di febbraio con la proposizione di un nuovo decreto che terrà conto delle osservazioni sollevate nel corso della conferenza.
 
“Condividiamo ovviamente la posizione assunta dall’assessore Bandiera, speriamo che il mondo vitivinicolo siciliano si schieri compatto contro questo provvedimento” è l’auspicio di Cossentino. La scomparsa di questo comma, di fatto, permette a un’azienda con sede al di fuori della Sicilia di affittare nell’isola un terreno adibito a vigna, acquisirne in questo modo titoli e autorizzazioni, estirpare in loco e reimpiantare nella propria regione il vitigno che vuole. Un’azienda toscana ad esempio, può affittare a un basso prezzo dieci ettari di Nero d’Avola: successivamente estirpa, chiude il contratto di affitto e trasferisce l’autorizzazione a coltivare a vigna gli stessi dieci ettari nel suo territorio, impiantando magari prezioso Brunello. Impoverendo, in tal modo, il territorio siciliano e permettendo, da parte di imprenditori senza scrupoli, di agire in maniera incontrollata contro l’eventuale concorrenza.
Ancora, la possibilità di portare all’esterno le autorizzazioni porterebbe ad un mancato investimento in Sicilia, e quindi un mancato guadagno e, in prospettiva, la perdita di lavoro e crescita economica.
 
“Lo stralcio del comma – dice ancora Cossentino – non farebbe altro che diminuire la quantità delle nostre vigne a vantaggio di chi viene a fare qui questo tipo di operazioni elusive. Un fatto gravissimo per la nostra economia e il nostro export, che si fondano per buona parte sulla produzione vitivinicola”.
 
La Sicilia resta la regione con la maggiore superficie vitata, quasi 100 mila ettari (dati Istat 2016) cioè quasi un sesto del totale italiano, che si attesta sui 640 mila ettari. L’isola nel 2000 aveva 136 mila ettari a vigna, in 16 anni ne ha persi 37 mila.
Dati opposti, invece, in altre regioni come Veneto, Friuli, Emilia Romagna e Toscana, dove le superfici vitate sono cresciute di migliaia di ettari: “Evidentemente – dice ancora Cossentino – la grande quantità di superfici vitate siciliane fa gola a molte aziende. Sappiamo che in Regione continuano ad arrivare richieste di estirpazione da parte di aziende con sede al di fuori del nostro territorio, che hanno recentemente stipulato contratti d’affitto di superfici vitate”.

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