Le fake news elettorali sul Ponte sullo Stretto - QdS

Le fake news elettorali sul Ponte sullo Stretto

Rosario Battiato

Le fake news elettorali sul Ponte sullo Stretto

mercoledì 14 Febbraio 2018

I benaltristi spacciano come prioritari interventi che altrove sono ovvietà, mentre al Nord si spendono miliardi in grandi opere. Collegamenti a caro prezzo con l’aereo, zero treni veloci e altre infrastrutture

PALERMO – L’aria elettorale soffia sul Ponte dello Stretto che dal museo dei sogni ibernati diventa l’oggetto del contendere tra le fazioni in campo. In questo quadro conosciuto e solido non aggiungono nulla di nuovo le dichiarazioni di Berlusconi – “il Ponte è la prima cosa da fare”, ha spiegato in questi giorni – né l’apertura del Pd o la posizione ostile di grillini e di tutti i pezzi che si collocano a sinistra dei democratici. Intanto, l’opera mai avviata si comporta come un’incompiuta vera e propria, dal momento che è già costata diverse centinaia di milioni e altri ancora ne potrebbe costare in vista delle penali da pagare alle società che si erano aggiudicate l’appalto.
 
In un’ottica più concreta, due tasselli importanti sono stati posizionati da Anas e Rfi, che, nel corso del convegno degli industriali a Napoli sul tema “La logistica per lo sviluppo del Mezzogiorno”, hanno espresso una sostanziale convergenza sulla realizzazione di un collegamento tra l’Isola e il continente. Non è la prima volta in assoluto che si esprimono sull’opportunità di unire le due sponde, ma questa conferma sembra legarsi a uno stato di consapevolezza realizzativa maggiore rispetto al passato e al netto delle posizioni che potrebbero essere viziate dal furore da campagna elettorale (Delrio ha fatto riferimento a un ipotetico impegno finanziario del governo da 4 miliardi in seguito allo studio di fattibilità).
 
Maurizio Gentile, ad di Rfi, ha cautamente sottolineato che il Ponte “dal punto di vista di gestore di un’infrastruttura che deve garantire continuità territoriale, è evidente che sia un’opera sulla quale ci si debba posizionare in termini positivi”. Anche se preferisce non chiamarlo Ponte ma, più genericamente, “collegamento stabile”, in quanto esistono soluzioni alternative che sarebbero al momento proprio al vaglio di Rfi. Sulla stessa linea si è espresso anche Gianni Vittorio Armani, ad dell’Anas, che ha ribadito la necessità di pensare a una “qualche forma di connessione”.
 
Anche la Regione c’è. Il centro-destra isolano, nel solco della tradizione, aveva tentato di giocare d’anticipo, intestandosi la battaglia pro-Ponte, seppure in maniera blanda, già durante la campagna elettorale delle regionali. All’inizio di febbraio l’assessore Marco Falcone, nel corso del convegno palermitano “Per una svolta dei trasporti in Sicilia: analisi economiche e scelte modali”, ha esplicitato che, entro il 2023, quindi prima della fine della legislatura, il governo regionale si è proposto di “porre la prima pietra del ponte di Messina”, specificando di aver già parlato con le società di traghettamento e gli amministratori di Ferrovie e Anas.
Falcone si aspetta che non si opponga nemmeno il successore di Delrio, anche perché persino il Pd, ormai da tempo, ha sdoganato il Ponte. E in tempi di probabili grandi coalizioni non ci saranno più scuse per nessuno.
 
1. L’incompiuta più grande da sempre a libro paga
In mezzo alle numerose ipotesi, ci sono delle certezze che si fanno pagare. In cima alla lista, oltre alle spese propedeutiche già realizzate, c’è la società Stretto di Messina, costituita in funzione della realizzazione del Ponte, che è stata posta in liquidazione del 2013, con data di scadenza, cioè estinzione della società, da concretizzarsi entro un anno. Eppure continua a costare annualmente circa un milione di euro, una certificazione che arriva dalla Sezione centrale di controllo sulle gestione delle amministrazioni dello Stato al capitolo “lo stato della liquidazione di Stretto di Messina spa”. “Considerata l’assenza di attività, se non quella di resistenza in giudizio, affidata, peraltro, ad avvocati esterni – si legge nel testo della magistratura contabile –, non sono ancora stati ridotti drasticamente i costi della società, inclusi quelli degli organi sociali, che la legge, originariamente, limitava implicitamente all’anno previsto per la liquidazione. Infatti, l’onere per il mantenimento in vita della concessionaria, sceso sotto i due milioni solo nel 2015, risulta ancora rilevante, essendosi attestata, per il 2016, sopra il milione e mezzo”. A questi numeri si aggiungono i 312 milioni di costi capitalizzati dalla Società per diverse azioni, tra cui progetto definitivo, monitoraggio ambientale, aggiornamento del piano finanziario, attività per la stipula dell’atto aggiuntivo, ma anche accordi con i contraenti, aggiornamento della convenzione, gare, piano finanziario, sistemi informativi e gestionali, progetto preliminare, atti di convenzione. Tanto rumore per nulla.
 
2. Ballano penali da 700 mln. Intanto si riparte da zero
Pagare per nulla. La vecchia regola delle grandi infrastrutture regionali si ripete anche nel caso del Ponte: le cifre relative alle spese per il mantenimento della Società e alle operazioni già compiute potrebbero ritrovarsi in compagnia del risarcimento richiesto dalla cordata di costruttori guidati dalla Salini-Impregilo alla Stretto di Messina, dopo l’annullamento del contratto, nel 2012, da parte del governo Monti nei confronti di Eurolink. In ballo ci sarebbero circa 700 milioni di euro, anche se la Salini Impregilo, già nel 2014, aveva lanciato segnali di pace al governo, offrendo, tramite le parole del suo ad Pietro Salini, la disponibilità a rinunciare alle penali in cambio della riapertura del dossier sul Ponte. Un’offerta che era stata considerata, almeno a parole, dall’ex premier Renzi, nel 2016, ma che in seguito si è persa nella confusione del governo. Attualmente, su mandato del governo, Rfi sta realizzando uno studio di fattibilità per valutare il rapporto costi benefici del Ponte. In vista delle elezioni, la situazione sarebbe ancora tutta da valutare.
 
3. Lo Stato avrebbe pagato solo un quarto del totale
L’ultimo aggiornamento sui costi del Ponte, cioè del vecchio progetto inserito nella delibera Cipe 136/2012, si trova nel database Silos (sistema informativo legge opere strategiche) e prevede un totale pari a 8,5 miliardi di euro. Lo Stato non avrebbe comunque dovuto finanziare l’intera cifra, ma limitarsi a un supporto molto più esiguo (circa 2-3 miliardi). Gli esempi in merito esistono: in Turchia l’ultimo ponte sul Bosforo è stato finanziato con la formula del bot (build operate transfer) che ha visto un investimento complessivo di oltre 3 miliardi di dollari.
Nessuno, del resto, potrà dire che solo in Sicilia i cantieri per le grandi opere presentano passaggi a vuoto. Nei giorni scorsi un corposo dossier, redatto dai commissari straordinari del Consorzio Venezia Nuova, avrebbe fatto riferimento alle numerose criticità del Mose (un sistema di paratoie mobili a scomparsa per difendere la laguna veneziana) al punto che serviranno ancora 94 milioni di euro per un’infrastruttura già costata più di 5 miliardi e mezzo. Ma gli esempi di grandi investimenti, come la linea Alta velocità Torino-Milano-Roma-Napoli, completata nel lontano 2009 e costata 32 miliardi di euro (fonte Fs), sono numerosi in Italia, non certo in Sicilia. Citiamo ancora Valico del Brennero e Tav Torino-Lione, costati rispettivamente 4,4 e 4,6 miliardi: molto più, dunque, di quanto lo Stato avrebbe dovuto sborsare per il Ponte.
 
4. Niente Ponte e le merci cambiano direzione
Sullo Stretto si viaggia: i numeri diffusi dall’Autorità portuale di Messina hanno registrato poco più di 7 milioni nel corso del 2016 (+2,24% rispetto all’anno precedente, quando erano stati 6,8 milioni). L’ultima rilevazione è la più elevata dal 2013, ma è ancora distante dai numeri record del 2004 (11 milioni di passeggeri transitati). Tra Sicilia e Calabria, inoltre, sono passate quasi 6 milioni di tonnellate di merci, in crescita del 6,15% rispetto al 2015, ed è un dato molto vicino al 2012. Risultati positivi anche se, rispetto al periodo pre-crisi, quindi intorno alla metà dei primi anni duemila, la situazione non è ancora paragonabile: in quel periodo le merci transitate erano circa 10,6 milioni di tonnellate.
Non solo Stretto. Senza Ponte, dicono gli addetti ai lavori, la Sicilia perde anche la possibilità di intercettare i voluminosi traffici del Mediterraneo, area che vede passare il 20% delle merci su mare dell’intero globo. Dal Canale di Suez passano 16.800 navi e quasi 820 milioni di tonnellate di merci trasportate.
 
5. Corridoio Scandinavia-Malta. Sicilia a rischio eliminazione
Per l’Ance si tratta di “un enorme problema di mobilità”. Ne ha parlato all’Adnkronos Santo Cutrone, presidente dell’associazione dei costruttori isolani, specificando che il Ponte non può risolvere da solo ogni cosa, e che urgono interventi necessari anche sul fronte dell’alta velocità e della rete secondaria, senza tralasciare il sistema portuale e logistico. “La politica deve dare risposte a questo enorme problema di mobilità – ha spiegato –, che riguarda non solo l’attraversamento rapido dello Stretto, ma anche la possibilità di viaggiare ad alta velocità da Trapani, da Agrigento e da Ragusa fino alla Scandinavia, la necessità di avere ricostruita la viabilità secondaria che al 90 per cento è inagibile per frane”.
Misure che servono per i cittadini e per le imprese. “Quelle del resto del Paese sono avvantaggiate rispetto alle nostre perché le loro merci hanno a portata di mano gli snodi intermodali che per noi, invece, distano anche oltre un’intera giornata di viaggio”. Il rischio è che l’isolamento condanni l’Isola a vedersi superare dal corridoio europeo Scandinavia-Malta, escludendola “dagli immensi traffici di merci che viaggeranno lungo la ‘Belt and Road Initiative’, la ‘Via della Seta’ che il governo cinese ha lanciato via terra e via mare con il nuovo sistema di project cargo che porta i container dove più facilmente e rapidamente i prodotti possano essere lavorati e trasportati fino ai grandi mercati europei”.
 
6. L’Isola “senza continuità”. C’è solo l’aereo, a caro prezzo
Sparito dai radar dell’ultimo allegato infrastrutture al Def, nel quale si cita genericamente “attraversamento dello Stretto” nell’ambito della descrizione degli interventi prioritari previsti per la direttrice ferroviaria Napoli-Palermo, il Ponte resta insostituibile in un piano di mobilità e di trasporto merci che rimetta la Sicilia in Europa. Nei giorni scorsi, nel corso del convegno Unindustria Napoli sulla logistica al Sud, si è fatto riferimento ai 49 miliardi previsti per il Sud (126 complessivi, 94,2 già finanziati). In prima linea ci sono gli interventi per la Napoli-Bari, la Messina-Catania-Palermo ma anche la Salerno-Reggio Calabria. Per gli isolani cambierebbe soltanto la mobilità interna all’Isola, ma per il passaggio dello Stretto i tempi non sarebbero differenti.
E così, senza Ponte, la continuità territoriale col resto del Paese è sempre più complicata perché ostacolata da difficoltà economiche e infrastrutturali. La scorsa settimana l’Ars ha approvato una mozione del M5S che invita il governo Musumeci a ottenere il regime di continuità territoriale per la Sicilia per gli spostamenti aerei, marittimi e ferroviari. Un tentativo di agevolare la mobilità – tema molto caro al governatore che a dicembre ha parlato del sogno di una compagnia siciliana – che coinvolge molti isolani travolti, in diversi periodi dell’anno, dal caro-tariffe. Lo scorso dicembre i costi dei biglietti per Milano schizzarono fino a superare 700 euro.

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