Sicilia-Italia, la forbice si allarga - QdS

Sicilia-Italia, la forbice si allarga

Rosario Battiato

Sicilia-Italia, la forbice si allarga

martedì 13 Marzo 2018

Istat: gli indicatori economici delle principali città dell’Isola sono distanti da quelli delle realtà virtuose del Paese. Lavoro, turismo, infrastrutture, informatizzazione: divario sempre più ampio

PALERMO – In attesa che si ricomponga il nebuloso quadro politico scaturito dal voto delle scorse settimane, c’è una questione rimasta inevasa nel corso del dibattito preelettorale, che dovrebbe passare in cima all’agenda del prossimo governo (ne abbiamo parlato diffusamente nell’inchiesta del QdS di giovedì 1 marzo, “Elezioni: Sud ignorato dai partiti”). È la vecchia storia della Questione meridionale che, rispetto al passato, si è persino frammentata, determinando, all’interno delle regioni meridionali, molteplici e differenti criticità e fattori di ritardo. Lo confermano gli ultimi indicatori territoriali per le politiche di sviluppo dell’Istat, rilasciati alla fine di febbraio, che hanno aggiornato i numeri provinciali e dei comuni capoluogo relativi alla competitività delle imprese, al mercato del lavoro, al turismo e ai trasporti.
 
Dati che registrano un profondo distacco tra la Sicilia e il Centro-Nord e, in alcuni casi, anche tra l’Isola e il resto del Meridione d’Italia, perché l’assenza di infrastrutture adeguate – il fantasma del Ponte sullo Stretto è stato ancora una volta esibito in campagna elettorale senza fornire dettagli ed elementi concreti di realizzazione – penalizza una terra tagliata fuori dal Continente, dove, per esempio, è già arrivata l’alta velocità ferroviaria che copre fino a Reggio Calabria, con i Frecciabianca, e, in generale, passa dalle principali città del Sud, con i Frecciargento e Frecciarossa. Gli investimenti sono in itinere e i cantieri sono aperti, ma intanto la risalita dell’economia isolana sembra davvero complicata.
 
Persino i settori che sarebbero potenzialmente le punte di diamante dell’Isola, come il turismo o l’agroalimentare, faticano a trovare una vera dimensione internazionale, rispetto a quanto registrato altrove. La Questione meridionale, o siciliana, non si potrà più rimandare.
 
1. Disoccupazione giovanile primato nel palermitano
La vitalità economica di una regione si misura anche dalla dinamicità del suo mercato del lavoro. E questo è uno dei primi punti su cui la nostra Isola si trova in evidente difficoltà.
I giovani in cerca di occupazione (persone comprese nella fascia di età tra i 15 e i 24 anni su forze lavoro della corrispondente classe di età) nella provincia del capoluogo rappresentano il 71% del totale, si tratta del dato più elevato tra le province italiane, in condominio con Medio Campidano (71,7%). Per la provincia di Palermo è il risultato peggiore dal 2004 in poi, quando l’indice misurava 51,4%.
Non stanno poi meglio le altre aree siciliane: Messina al 64% e tutte le altre registrano un dato superiore al 50%, ad eccezione di Ragusa, Enna e Agrigento, che si collocano nella fascia 40/50%. Sono numeri che raddoppiano o triplicano quanto si registra in molti centri del Nord: Milano al 33%, Torino al 40%, Bergamo al 25%, Brescia al 32,9%.
Una tendenza che si conferma nell’indicatore generale del tasso di disoccupazione (persone in cerca di occupazione sulle forze di lavoro nella corrispondente classe di età) che oscilla tra il 19 e il 25%, anche in questo caso un valore doppio o triplo rispetto alle grandi e medie città del centro-nord che registrano mediamente risultati inferiori al 10%.
 
2. Capacità di fare impresa: si può e si deve fare di più
Considerando l’iscrizione delle nuove imprese, nel 2017, soltanto due province hanno registrato il superamento delle 5 mila unità: Catania, con 5.764, e Palermo, con 5.463. Per tutte le altre i valori sono stati compresi tra poco più di un migliaio (Caltanissetta) e circa 3.500 (Messina). Soltanto la provincia di Enna è scesa sotto quota mille, facendo registrare 656 imprese. Complessivamente si tratta di circa 25 mila nuove imprese che, anche tutte assieme, faticano a tenere il passo delle grandi aree.
In generale, la tendenza è positiva di qualche centinaio di imprese rispetto ai dati del 2016, ma comunque si resta molto distanti dalle big come Roma (poco meno di 30 mila), Milano (oltre 23 mila) e Torino (circa 13.300).
Resta discretamente alto, per le siciliane, il tasso di iscrizione lordo nel registro delle imprese, che misura le imprese iscritte sul totale delle imprese registrate nell’anno precedente.
 
3. Internazionalizzazione questa sconosciuta
Le isolane soffrono la concorrenza estera sul fronte dei settori cosiddetti a domanda mondiale dinamica, un comparto che comprende sostanze e prodotti chimici, articoli farmaceutici, chimico-medicinali e botanici, computer, apparecchi elettronici e ottici, apparecchi elettrici e mezzi di trasporto, attività professionali, scientifiche e tecniche, attività artistiche, di intrattenimento e divertimento e altre attività di servizi.
L’indicatore che misura la quota del valore delle esportazioni di questo settore sul totale delle esportazioni è progressivamente crollato in quella che era un’area fiorente come il palermitano, dove è passato dall’82,65% del 1995 al 41,58% del 2016. Si difendono l’area di Caltanissetta (61,73%) e il catanese (55,87%).
Al di là della porzione statistica, sono i dati in valore assoluto a testimoniare il netto ritardo del settore: soltanto Catania e Siracusa superano il mezzo miliardo a testa come valore delle esportazione, le altre si devono accontentare di numeri inferiori.
Il confronto col resto d’Italia permette di qualificare il ritardo isolano: è sufficiente pensare che la piccola Alessandria totalizza più di un miliardo di esportazioni del settore in questione, mentre i grossi centri come Milano e Torino restano di un altro pianeta, piazzando rispettivamente 15 e 11 miliardi.
 
4. Le eccellenze agroalimentari senza adeguata valorizzazione
Nel 2015 le nove province isolane hanno totalizzato circa mezzo miliardo complessivo di esportazioni relative a prodotti alimentari, bevande e tabacco. Un dato che registra la leadership di Messina, con 110 milioni di euro, seguita da Trapani e Palermo che rispettivamente hanno totalizzato 95 e 86 milioni di euro. Un quadro che risulta inadeguato anche per l’esperienza registrata in molte aree del Meridione: la provincia di Salerno, per esempio, ha superato il miliardo di euro.
Anche l’analisi dei dati del resto d’Italia conferma il netto ritardo delle siciliane che assieme realizzano meno della sola provincia di Firenze, che ha superato il mezzo miliardo, la metà della provincia di Modena, e un quarto del veronese che ha sfiorato i 2 miliardi di euro.
Nel complesso le esportazioni isolane, seppur registrando qualche passo in avanti rispetto agli anni passati, non riescono a reggere il passo delle altre aree produttive del Paese.
 
5. Passi avanti sul trasporto ma occorre non fermarsi
Gli isolani non apprezzano il trasporto pubblico. Circa sette persone su diecisi muovono col mezzo privato per andare a scuola o a lavoro. Una tendenza che trova conferma nell’indicatore che misura il numero di passeggeri trasportati dal trasporto pubblico locale nei comuni capoluogo di provincia.
Catania e Palermo sono le migliori, rispettivamente con 23 e 15 milioni di passeggeri. Si tratta di un percorso in ascesa rispetto al 2014, ma clamorosamente in ritardo in rapporto a quanto realizzato nel 2000, quando il centro etneo sfiorava i 45 milioni e il capoluogo superava i 33 milioni. Le due siciliane, pur rientrando tra le prime dieci città nazionali per popolazione, si fanno superare da Bologna (106 milioni), Brescia (51 milioni), Trieste (65 milioni), senza considerare le big come Torino (246 milioni), Milano (600 milioni) e Roma (oltre il miliardo).
Negli ultimi anni le pagelle sono comunque positive: da segnalare le ottime iniziative del tram a Palermo (quattro nuove linee avviate nel 2015) e lo sviluppo della metropolitana di Catania, che resta un cantiere aperto anche su tanti altri fronti, ad esempio per l’ammodernamento del passante ferroviario.
Su questo fronte, insomma, si muove finalmente qualcosa, soprattutto all’interno dei centri con popolazione maggiore, ma adagiarsi su quanto fatto finora sarebbe un imperdonabile errore.
 
6. Una debacle inaspettata anche in tema di turismo
L’esito non è affatto scontato persino quando si gioca in casa e si dovrebbero avere tutte le carte in regole per poter ottenere degli ottimi risultati. Il tasso di turisticità misura le giornate di presenza (italiani e stranieri) nel complesso degli esercizi ricettivi per abitante e ottiene i risultati più elevati, considerando l’annata del 2016, nel messinese e nel trapanese (valore pari a 5), meno bene Ragusa e Siracusa, che ottengono rispettivamente 3,9 e 3,1, mentre Palermo e Agrigento oscillano su un valore di poco superiore al 2. Chiudono Catania a 1,6 ed Enna e Caltanissetta appaiate a 0,6.
Senza considerare Matera (8,3), che ha indubbiamente goduto dell’onda lunga della nomina a capitale europea della cultura nel 2019, anche Lecce (5,9) e Foggia (7,1) riescono a fare mediamente meglio delle isolane. Più al Nord i risultati sono schiaccianti: Livorno al 24,2, Grosseto oltre il 25, Rimini al 46,3. Si tratta chiaramente di un risultato pesato sulla popolazione media, ma è confermato anche dai numeri delle presenze (giornate) negli esercizi alberghieri e complementari con Messina (circa 3 milioni), Palermo (2,6 milioni) e Trapani (2,1 milioni) che vengono surclassate da Lecce e Foggia, che mettono assieme poco più di 9 milioni. Senza considerare Napoli, che vale più di 13 milioni, o Perugia e Grosseto che superano i 50 milioni.

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