Comuni: chi non investe non ha futuro - QdS

Comuni: chi non investe non ha futuro

Rosario Battiato

Comuni: chi non investe non ha futuro

giovedì 17 Maggio 2018

Ifel: in Sicilia si spendono 81,7 € pro capite, metà della media nazionale e dato peggiore in Italia (559 € in Trentino). Bilanci ingessati da personale e apparati ingestibili. Allo sviluppo non resta nulla 

PALERMO – Gli Enti locali chiedono personale in grado di aiutarli a spendere le risorse. Il commento, in tal senso, è arrivato proprio nei giorni scorsi da Guido Castelli, sindaco di Ascoli Piceno e delegato alla Finanza locale Anci (Associazione nazionale dei Comuni italiani), in occasione dell’audizione davanti alla Commissione speciale della Camera che sta analizzando il Documento di economia e finanzia 2018. Dopo i miglioramenti registrati tra il 2015 e il 2017, “abbiamo ancora una estrema difficoltà – ha spiegato – a spendere le risorse perché il personale è sempre in diminuzione e invecchiato”. Occorre dunque spostare l’attenzione sul fare, perché “la Pubblica amministrazione locale è più concentrata ad adempiere che a funzionare: occorre quindi recuperare la cultura del risultato, che deve passare da una riforma della Finanza locale e del Catasto e da una diminuzione del profluvio di norme e quesiti che ogni giorno ingessano l’azione delle amministrazioni”.
 
Una proposta che si inserisce all’interno delle numerose opportunità offerte ai Comuni – le abbiamo elencate nell’inchiesta “Per i comuni opportunità da 450 mln, ma occorrono progetti e professionalità” di giorno 8 febbraio – e che necessita di sostanza, di cantieri. Tre mesi fa, inoltre, il decreto del ministero dell’Economia e delle Finanze n. 20970 ha determinato l’attribuzione degli spazi finanziari a sostegno degli investimenti degli Enti locali da realizzare attraverso l’utilizzo dei risultati di amministrazione e il ricorso al debito, in attuazione del Patto nazionale verticale 2018, per complessivi 900 milioni di euro. Ci sono una quarantina di Enti locali isolani in elenco che potranno beneficiare di questa opportunità per l’edilizia scolastica, impiantistica sportiva e altri interventi.
Il passato, in questo senso, può essere d’insegnamento. Spulciando il rapporto Ifel 2017 della Fondazione Anci sui Comuni italiani e i dati Istat sulla distribuzione della spesa si scoprono tutte le criticità del sistema siciliano: bassa spesa per investimenti, eccessivo carico del personale, difficoltà nel procedere all’aggiudicazione dei bandi.
È ora di cambiare marcia.
 
Ancora troppa distanza tra pubblico e privato
Tra il 2002 e il 2016, nell’ambito del mercato Partenariato pubblico privato (Ppp) dei Comuni italiani, sono stati pubblicati 23.216 bandi per circa 33,2 miliardi di euro (fonte Ifel). Tra questi, ci sono stati 6.153 bandi aggiudicati per 22,4 miliardi di euro. In Sicilia, a fronte di 390 Comuni, ne sono stati pubblicati 1.305, cioè il 5,6% del totale, per 1,8 miliardi, il 5,5% dell’ammontare complessivo.
Le aggiudicazioni sono state 226 (17% del totale contro il 26% della media nazionale di aggiudicazione dei bandi) e i fondi effettivamente spesi hanno raggiunto quota 1,1 miliardi (65% del totale contro il 67% della media nazionale). La regione col più elevato numero di bandi aggiudicati è stata la Lombardia (1.241 per 5,2 miliardi), anche se partiva da un totale di 3.963 per 7,8 miliardi. Sul podio delle regioni col maggior numero di aggiudicazioni, anche in virtù di un numero maggiore di bandi avviato, ci sono poi l’Emilia Romagna (654 per 1,8 miliardi), e la Campania (559 per 2,4 miliardi).
 
Risorse per gli investimenti il dato peggiore del Paese
Nel 2016 la spesa dei Comuni italiani (fonte Ifel), calcolata in euro pro capite, ha visto la netta preponderanza della porzione corrente (735,9 euro pro capite) su quella in conto capitale (183,3). Considerando la somma complessiva pari a 919,2 euro pro capite, la parte corrente (calcolata al netto del servizio smaltimento rifiuti), che comprende la gestione quotidiana dell’Ente e l’erogazione dei servizi comunali (quindi, tra gli altri, anche personale e acquisto di beni di consumo o di materie prime), vale l’80% del totale.
In Sicilia questa distribuzione è ancora più netta, tanto che la spesa corrente vale l’88% del totale della spesa, pari a 707 euro pro capite su 799 di spesa complessiva. Della porzione in conto capitale, pari a 92 euro, la parte relativa agli investimenti raggiunge quota 81,78 euro e vale circa il 10% della spesa totale, mentre il dato della media nazionale raggiunge il 17%.
Nel complesso, il valore pro capite della spesa in conto capitale per investimenti tra i Comuni isolani è il più basso tra le altre regioni, e vale circa la metà del dato medio italiano (162,8 euro).
 
Personale: un esercito che costa molto caro
Nel 2015, stando ai dati Istat, la spesa corrente complessiva è stata pari a 4,3 miliardi di euro (863 euro pro capite). In questo quadro le spese per il personale hanno raggiunto quota 1,5 miliardi, terzo dato dopo la Lombardia (2,1 miliardi) e a pochissima distanza dal Lazio (1,5 miliardi). Il dato di dettaglio per il personale vale più di un terzo (34,5%) dell’intera spesa corrente dei Comuni isolani.
Si tratta, in chiave statistica, della porzione più elevata considerando tutti i Municipi d’Italia, circa 10 punti percentuali in più rispetto a quella nazionale (25,7%).
Appare dunque evidente che un peso del genere, certamente figlio di una gestione passata meno razionale, determina di fatto una maggiore difficoltà nella gestione dei flussi di spesa dei Comuni isolani. Adesso bisognerà fare di necessità virtù e invertire una tendenza che nel giro di pochi anni potrebbe trascinare la finanza locale siciliana nel baratro.
 
Trasferimenti: dallo Stato arriva la fetta più grossa
I trasferimenti da parte di Regione e Stato sono risultati in contrazione in questi ultimi anni, ma continuano, ancora oggi, a costituire un elemento determinante nel rianimare le casse bucate degli Enti locali.
Nel complesso, le entrate da trasferimenti valgono 341 euro pro capite a livello nazionale, una media superata dal dato siciliano che si assesta a 403,2 euro. A determinare il flusso più importante è la porzione statale, che vale 178,4 euro pro capite, all’interno del capitolo relativo alle entrate da trasferimenti correnti che complessivamente valgono 354,6 euro (la parte rimanente, cioè 176,2 euro, arriva dalle amministrazioni locali). Soltanto 48 euro pro capite vale la parte relativa alle entrate in conto capitale.
Nel complesso, il valore pro capite dei trasferimenti siciliani vale il doppio di quello della Lombardia, anche se in valore assoluto i dati saranno molto simili se consideriamo le due popolazioni (5 milioni in Sicilia, 10 milioni in Lombardia).
 
Costi e fabbisogni standard per superare la spesa storica
La circolare del Dipartimento regionale delle Autonomie locali, trasmessa lo scorso 8 marzo, ha di fatto modificato il sistema dei trasferimenti regionali ai Comuni. Il documento dell’assessorato, disponibile anche sul sito dell’Asael, l’associazione che riunisce gli amministratori locali siciliani e che ha molto spinto per queste novità, di fatto pone le prime basi per l’introduzione dei “fabbisogni e costi standard” per determinare i trasferimenti annuali agli Enti locali. Anche l’associazione ha redatto e proposto al Governo regionale un documento che contiene appunto dei suggerimenti per la definizione del nuovo sistema.
Nel complesso, si tratterà di una modifica rispetto al criterio prevalente utilizzato in passato della spesa storica – “a differenza del vecchio sistema di finanza derivata, secondo il quale quanto veniva trasferito alle varie Regioni sotto forma di trasferimenti dipendeva da quanto una Regione aveva speso l’anno precedente”, si legge – e quindi si verificherà un maggiore adeguamento ai principi della legge sul federalismo fiscale.
Un’organizzazione che dovrebbe favorire una distribuzione più equa e limitare le sperequazioni che si sono registrate in passato, anche se per apprezzare il cambiamento ci vorrà ancora del tempo. In altri termini, una gestione che punta all’efficienza.
 
Le strategie dell’Anci per evitare il collasso
La scorsa settimana l’Anci, nel corso della già citata (ne abbiamo parlato nel pezzo principale di questa pagina di approfondimento) audizione davanti alla Commissione speciale della Camera che sta analizzando il Documento di economia e finanza 2018, ha anticipato quelli che saranno i principali temi da portare all’attenzione del nuovo Governo. “Rivedere le scadenze della contabilità economico-patrimoniale – si legge nella nota dell’Associazione dei Comuni – riformulare il Piano di riequilibrio pluriennale, eliminare le sanzioni da sforamento del saldo di competenza 2016, rendere disponibili per le Città metropolitane gli avanzi di amministrazione e rivedere i criteri di assegnazione del fondo per la messa in sicurezza”.
Inoltre, si chiedono anche misure finalizzate alla “semplificazione amministrativa, per la ripresa degli investimenti e per la ristrutturazione del debito del comparto Comuni”.
Sul versante degli investimenti, buona la strada relativa alla “indicazione di risorse dirette alla progettazione – ha spiegato Mauro Guerra, sindaco di Tremezzina e presidente della Commissione Finanza locale Anci – ma vanno aumentate, perché i Comuni vogliono svolgere pienamente la funzione di principale sostegno all’economia locale”.

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