Siccità, Sicilia lasciata a desertificare - QdS

Siccità, Sicilia lasciata a desertificare

Rosario Battiato

Siccità, Sicilia lasciata a desertificare

giovedì 14 Giugno 2018

Nell’Isola si continua a disperdere fino al 50% dell’acqua nelle reti colabrodo, mentre i cantieri sono fermi. Dissalazione e depurazione dei reflui possibili soluzioni per irrigare i campi 

PALERMO – Sulla gestione dell’acqua isolana il quadro complessivo è sufficientemente chiaro e la bilancia pende dalla parte delle criticità. Predominano, infatti, gli elementi che deviano dall’ordinarietà del servizio: piove meno, invasi incompleti, perdite di rete con numeri record, territorio a rischio desertificazione, difficoltà nella distribuzione dell’acqua.
 
Dall’altra parte della bilancia ci sono soltanto potenzialità più o meno solide: i 66 milioni stanziati dal Cipe per completare alcune dighe isolane e gli altri interventi nell’ambito della depurazione e del riutilizzo delle acque reflue in agricoltura – vale il modello del depuratore di Catania – appartengono alle possibilità concrete, in attesa dell’apertura dei cantieri. Al libro dei sogni, che al momento si può sfogliare su morbide nuvole, appartiene il potenziamento della dissalazione delle acque marine che, nell’Isola, vale circa l’1% del totale del prelievo. Un modello, quest’ultimo, che altrove non è certo confinato ai progetti futuri, ma che rappresenta una solida e consistente realtà. Nel complesso è un bilancio ancora largamente deficitario per una Sicilia che continua a sprecare risorse preziose e a registrare un servizio di distribuzione dell’acqua che periodicamente trova la protesta delle associazioni di categoria del mondo dell’agricoltura e che, ancora nel 2017, ha visto quattro famiglie siciliane su dieci segnalare problemi di erogazione.
 
Il futuro è secco e senza gli opportuni interventi per prevenire gli sprechi e riutilizzare le risorse disponibili, la Sicilia potrebbe presto vedere l’emergenza idrica come una presenza sempre più ingombrante.
 
Precipitazioni a singhiozzo nei primi mesi del 2018
Lo scorso anno si è caratterizzato per “condizioni estreme, in primo luogo per la scarsità delle precipitazioni, a tratti anche per le temperature”. Lo ha rilevato l’Osservatorio regionale delle acque nel suo report annuale, facendo riferimento all’ingresso della Sicilia in “una delle ricorrenti fasi di siccità acuta che caratterizzano il clima dell’Isola, le ultime delle quali risalivano agli anni 1989-90 e 2001-2002”. Tendenze che in qualche modo hanno trovato nei primi mesi del 2018 una ripresa – con febbraio e marzo al di sopra delle attese come precipitazioni – e anche un punto d’arresto, visto che aprile “è risultato dal punto di vista pluviometrico mediamente deficitario rispetto alla norma” mentre maggio è stato caratterizzato per “l’elevata disomogeneità della distribuzione delle precipitazioni”, con porzioni significative delle aree interne di “palermitano e agrigentino che hanno goduto di cumulate mensili superiori a 60 mm, più che doppie rispetto alla norma, mentre molte aree costiere ed interne orientali, con accumuli inferiori a 20 mm totali, hanno registrato valori al di sotto della norma”.
 
Invasi, peggiorano le riserve: -9% tra 2017 e 2018
Nel mese di aprile l’Osservatorio ha registrato che “il sistema degli invasi nel complesso non ha fatto registrare variazioni di rilevo, anche se localmente sono stati osservati lievi incrementi di livello in corrispondenza degli eventi temporaleschi di inizio mese”. La situazione al mese di maggio, quindi aggiornata al primo di giugno, non è migliorata, anzi.
Il prospetto dei volumi invasati nelle dighe della Sicilia ha fatto registrare uno scarto negativo del 9% rispetto all’anno precedente, e uno del 2% rispetto al mese precedente.
Il confronto tra i due periodi del 2017 e del 2018 ha visto un passaggio dai 529,08 milioni di metri cubi dello scorso anno ai 479,62 dell’attuale. Lo scarto maggiore si è registrato in diverse dighe a uso irriguo con qualche dato particolarmente rilevante. In particolare, la diga Pozzillo è passata da 67,3 mmc del giugno 2017 ai 36 dello stesso mese di quest’anno.
 
Desertificazione, a rischio il 70% del territorio
A differenza della siccità, un termine che indica una condizione temporanea e relativa, definita come uno scostamento rispetto alle condizioni medie (climatiche) del luogo in esame, e che può declinarsi in diversi aspetti (metereologica, idrologica, agricola, socio-economica), l’aridità è un termine che indica “una condizione di permanente carenza di risorse idriche caratteristica del clima di un determinato luogo”.
Quest’ultima, assieme ad altri fattori antropici e naturali (salinizzazione delle terre, diffusione delle monocolture, variazioni climatiche, miniere, etc…), determina la cosiddetta desertificazione che l’Ispra definisce come “processi di declino delle potenzialità del territorio, che non necessariamente assume le forme di una maggiore estensione dei paesaggi di tipo desertico”.
In Sicilia il 70% del territorio, secondo quanto riferito in uno studio del Cnr, sarebbe a rischio, si tratta del dato potenzialmente più elevato tra tutte le Regioni italiane.
 
A Palermo “si butta” oltre il 50% dell’acqua
E mentre le contingenze climatiche non favoriscono l’accumulo di acqua, i siciliani continuano a lamentarsi del servizio. Nel 2017, secondo dati Istat, poco meno di 4 famiglie isolane su 10 hanno lamentato problemi di erogazione e 5 famiglie su 10 non si fidano dell’acqua di rubinetto.
Un problema che si collega anche alle cosiddette perdite direte. L’Istituto di statistica ha stimato che, a livello nazionale, mediamente tre comuni su dieci perdono più del 50% di acqua immessa in rete. Tra le prime cinque città sprecone figura anche Palermo (54,6%). A livello regionale si scopre che le perdite di rete nei comuni isolani restano elevate: una piccola pattuglia di virtuosi, composta da circa il 7% degli enti locali, ne perde meno del 10%, una quota intorno al 25% registra perdite incluse tra il 10 e il 30%, poco più del 20% è incluso tra il 30 e il 50% di perdite. Il resto, la parte più vasta, pari a circa il 40% del totale, si distribuisce tra un 30% con perdite comprese tra il 50 e il 70% e un 10% addirittura superiore al 70%.
 
Le alternative contro la crisi: dissalazione e depurazione
Un modello di riutilizzo delle acque esiste già e potrebbe diventare operativo nei prossimi anni. Il progetto esiste, adesso si attendono i cantieri operativi del depuratore di Catania, l’opera da 461 milioni di euro, uno degli ultimi atti dell’amministrazione Bianco, che potrà permettere, tra le altre cose, di “realizzare la rete fognaria su tutta la città di Catania e l’ampliamento e l’adeguamento alla normativa comunitaria dell’impianto di depurazione con una particolare attenzione al riutilizzo delle acque reflue per fini agricoli nella Piana di Catania”.
Ma c’è anche un altro aspetto da considerare e si chiama dissalazione. Il prelievo delle acque marine, attraverso il processo di desalinizzazione, vale appena l’1% del totale del prelievo idrico regionale. Si tratta del dato più elevato tra le Regioni, ma conta comunque pochissimo rispetto ai pozzi, alle sorgenti e ai bacini artificiali. Eppure costituisce un sistema di riferimento: in Israele, ad esempio, tramite riutilizzo delle acque reflue per l’irrigazione e del potenziamento delle infrastrutture dedicate alla salinizzazione è riuscita a non cadere più nell’emergenza idrica, a differenza di molti Paesi della stessa regione.
 
Dighe, i fondi ci sono: stanziati 66 mln per l’Isola
Il piano per le dighe del Sud è stato uno dei grandi crucci del passato governo. A marzo, l’approvazione del Cipe del secondo Addendum al Piano Operativo Infrastrutture del ministero Infrastrutture e Trasporti, che si lega alla programmazione 2014-2020 del Fondo Sviluppo e Coesione e che prevede stanziamenti per 934,4 milioni in tutta Italia, ha previsto 66 milioni di euro nell’ambito di un piano strategico di potenziamento delle infrastrutture.
Buona parte di questi soldi sono destinati alla diga Pietrarossa, una delle grandi incompiute siciliane del settore idrico, che si prenderà circa 60 milioni di euro. Si prevede l’apertura dei cantieri per il 2020. Altri interventi minori riguarderanno altre otto dighe regionali, con la porzione più cospicua per la diga Piano del Leone (Castronovo, provincia di Palermo), che riceverà 2 milioni, altri 700mila euro per Fanaco, (Castronovo di Sicilia, provincia di Palermo), e 1 milione di euro a testa per Garcia (Contessa Entellina, provincia di Palermo) e Nicoletti (Leonforte, provincia Enna).

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