Un'Italia ordinata finiamola col caos - QdS

Un’Italia ordinata finiamola col caos

Carlo Alberto Tregua

Un’Italia ordinata finiamola col caos

mercoledì 20 Giugno 2018

I cittadini devono essere riconoscibili

Non sappiamo se avvenga per ragioni propagandistiche, o perché sia effettivamente un obiettivo del Governo GialloVerde, ma è interessante il tentativo di mettere ordine in un Paese che quasi non conosce questa parola.
In primo luogo, è essenziale che tutti coloro che circolano per l’Italia siano riconoscibili attraverso gli uffici dell’Anagrafe o altri albi. Per essere riconoscibili, occorre che tutti siano registrati. In altre parole, non è possibile che vi siano in circolazione persone di cui non si sappia nulla (provenienza, nazionalità, professionalità, lavoro e altro).
Quando c’è caos, i parassiti hanno vita facile, la malavita ha vita facile, la corruzione dilaga e l’evasione anche. In un Paese ordinato, che ha regole semplici e attuate, le maglie sono strette, la rete del sistema pubblico è precisa, nessuno sfugge all’obbligo dell’osservanza delle leggi.
Intendiamoci, non stiamo auspicando un Paese con un sistema militare o poliziesco, ma molto semplicemente un Paese ove tutti i cittadini siano messi in condizioni di parità, abbiano le stesse opportunità, senza favoritismi e pietismi.
 
L’esempio viene dall’alto: è la classe politica che lo deve dare. E, immediatamente sotto, quella burocratica. Le due istituzioni dovrebbero funzionare con il metronomo e ogni dipartimento, servizio o settore pubblico dovrebbe essere gestito da un direttore d’orchestra, capace di far funzionare tutti i suoi dipendenti, per raggiungere gli obiettivi che sono servizi pubblici di qualità al minor costo possibile.
Un Paese ordinato non può accettare che vi siano 130 mila rom di cui non si sa niente e che vivono nel sottobosco delle città, ovviamente di espedienti, bevendo il brodo della società e utilizzando risorse pubbliche senza pagare un euro di tasse.
Un Paese ordinato non può accettare che vi siano 200 mila migranti stabilmente ospitati in strutture rosse, azzurre e religiose di cui non si sa nulla, mentre per venire a conoscenza se essi abbiano diritto o meno di entrare nella società italiana devono passare tre anni, perché la burocrazia non è nelle condizioni di chiudere (o non vuole) le singole pratiche in tre mesi.
In un Paese non ordinato, ribadiamo, il caos danneggia tutti e favorisce pochi.
 
Da quando è in funzione il sistema centralizzato presso il ministero dell’Interno per il rilascio della Cie (Carta d’identità elettronica), molti Comuni (ma meno degli ottomila), si sono collegati per rilasciare, tramite i propri sportelli, tale documento.
Esso, lo ricordiamo, sostituisce la Carta d’identità, il Codice fiscale, la Tessera sanitaria e inoltre è dotato di Spid con Puk e Pin. Cosicché, il cittadino che la possiede può entrare in tutte le pubbliche amministrazioni per ottenere le informazioni che gli servono, nonché attivare servizi vari.
Il cittadino che chiede la Cie deve lasciare le impronte, rilevate con apparecchiature digitali. Il cittadino che chiede il passaporto deve fare lo stesso. Per conseguenza, tutti noi ormai siamo conosciuti, non soltanto per il Codice fiscale (che si può falsificare), ma per le nostre impronte inserite nella banca dati dello Stato.
Ma non è così per tutti i cittadini. Molti di essi, infatti, non chiedono la Cie, anche prima della scadenza della Carta d’identità cartacea, e quindi le loro impronte non sono ancora arrivate alla banca dati nazionale.
 
Del peggio c’è il peggiore, e cioè che vi sono tante persone che non possiedono la Carta d’identità, non la chiedono e non la chiederanno mai perché non hanno l’interesse a entrare nel sistema ufficiale dell’Italia, con la conseguenza che possono continuare ad agire nel sottobosco compiendo anche azioni criminali.
Uno Stato ordinato dovrebbe costringere tutti, ma proprio tutti quelli che mettono piede nel territorio italiano ad essere riconoscibili, espellendoli nel caso non provvedano a farsi registrare. Ma per farsi registrare, devono utilizzare le procedure che li portino nelle stesse condizioni di tutti gli altri abitanti.
Il caos va debellato in un modo o nell’altro. Il Governo e la maggioranza attuali hanno il dovere di porre mano alla soluzione di questo annoso problema, che inquina le relazioni fra cittadini, crea sdegno e scontento, consente a tanti di vivere fuori dall’ordine, danneggiando chi invece vi sta dentro.

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