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Dall’Uganda a Brancaccio: Jacinta, una suora al servizio degli ultimi

redazione

Dall’Uganda a Brancaccio: Jacinta, una suora al servizio degli ultimi

venerdì 31 Agosto 2018

Terzo incontro-testimonianza nella Missione di Biagio Conte in vista della visita del Papa. “All’inizio gli abitanti del quartiere non mi davano confidenza, ora sono molto accoglienti”

PALERMO – “Sono venuta in Italia solo per seguire Gesù Cristo. Il buon Dio ha voluto che venissi a Palermo, nel quartiere Brancaccio, per mettermi al servizio del Centro Padre Nostro per aiutare chi è in difficoltà”. A parlare è suor Jacinta delle Maestre Pie Venerini, originaria dell’Uganda ma da tanti anni in Italia.
 
Nella Cittadella del povero e della speranza in via Decollati, a Palermo, ha raccontato perché ha deciso di arrivare in Italia e cosa l’ha spinta a dedicarsi a chi ha bisogno in uno dei quartiere più difficili della città.
 
“Vengo da una famiglia unita, con genitori santi, che mi hanno trasmesso grandi valori – dice -. è importante avere una famiglia che ti formi con amore, ci sono tanti figli che hanno avuto solo schiaffi e mai una carezza. Quando avevo 15 anni ho detto a mio padre che volevo diventare suora, lui mi ha risposto dicendomi di finire gli studi e se dopo avessi avuto ancora quel desiderio potevo seguirlo”.
 
Da diplomata in lingua inglese suor Jacinta va a insegnare subito, ma dopo un anno sente forte il desiderio di venire in Italia per diventare suora. “Amo moltissimo i miei genitori e loro amano me, amo l’Uganda e amo insegnare ai miei studenti, ma seguire Dio è un amore ancora più grande – spiega -. Ho detto che sarei partita per l’Italia solo per tre mesi per dare loro una speranza, in realtà sono rimasta sei anni per prendere i voti e solo allora sono tornata in Africa”‘.
 
È stata una grande festa quando suor Jacinta è tornata nella sua città Foct-Portal. Quando è rientrata a Roma il suo provinciale le ha chiesto di andare a Palermo e suor Jacinta ha subito accettato. “Ho messo tutto nelle mani del Signore – racconta -, io conoscevo la mafia, la storia di Palermo e per non fare preoccupare la mia famiglia non ho detto che sarei andata a Brancaccio”.
 
“Tante suore mi hanno chiamata preoccupate per il mio trasferimento – dice ancora -. Circa un anno fa, il 17 settembre 2017, ho messo piede a Brancaccio, al servizio del Centro Padre Nostro voluto dal beato Padre Pino Puglisi. All’inizio gli abitanti del quartiere non mi davano confidenza, ora invece sono molto accoglienti, si confidano sui loro figli per avere un consiglio, un sostegno, sanno che possono contare su di me e io su di loro”.
 
Suor Jacinta è sempre sorridente e presta il suo servizio alla casa per anziani del Centro Padre Nostro dove sono accolte ottanta persone. Tante le attività svolte insieme: gite, pranzi fuori porta, lavori in ceramica, danza, preghiere ed esperienze di condivisione.
 
Nel Centro si occupa anche di recupero scolastico per bimbi delle scuole elementari e per ragazzi delle scuole superiori. Li aiuta ad imparare l’inglese. Nella casa museo Padre Pino Puglisi accoglie tanti visitatori a cui racconta la vita del beato ed è anche una volontaria della parrocchia San Gaetano, dove insegna catechismo e canta nel coro.
 
“La sera sono stanca perché ogni giorno mi muovo solo con la macchina di San Francesco (a piedi) – dice -. In Africa siamo liberi di lasciare le porte aperte delle nostre case e possiamo andare a trovare ogni persona senza preavviso. Tra gli africani c’è molta solidarietà, ci sentiamo tutti fratelli e qui in Europa tra di noi ci aiutiamo. Qui in Italia, invece, non potete lasciare la porta aperta e per andare a mangiare a casa di qualcuno avvisate con diverso anticipo, non esiste presentarci all’improvviso come facciamo noi in Africa” conclude.

L’incontro-testimonianza è stato il terzo appuntamento nella Missione “Speranza e Carità” di Biagio Conte in vista della visita pastorale di Papa Francesco che il prossimo 15 settembre, in occasione del XXV anniversario dall’uccisione del beato Pino Puglisi, si recherà alla Cittadella del povero e della speranza per condividere il pranzo con immigrati e carcerati.

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