Oscar della moneta, Oscar della recessione - QdS

Oscar della moneta, Oscar della recessione

Carlo Alberto Tregua

Oscar della moneta, Oscar della recessione

giovedì 11 Ottobre 2018

Un’Italia che deve ripartire

Nel 1959 la rivista Financial Times assegnò l’Oscar della moneta alla Lira. Una Lira forte, che svettava nel mercato internazionale conseguentemente a un’attività formidabile di tutti i cittadini che nel decennio avevano lavorato sodo per ricostruire l’Italia dalle macerie della Guerra.
La ricostruzione del Paese continuò nel decennio successivo, ma poi fu improvvidamente rallentata dal tragico 1968 (cinquant’anni fa), quando si misero in testa, alcuni geni della lampada, di introdurre il sei politico nelle scuole e il diciotto politico nelle Università. Come dire, l’abolizione del merito.
Da lì, partì la discesa culturale e ideale del nostro Paese, contribuita dall’analogo comportamento sindacale che livellò tutti i contratti al basso, impedendo l’inserimento di compensi sul merito e cioè sulla bravura dei singoli lavoratori.
Come dire, tutti bravi, nessun bravo. O viceversa.
 
Nel 1959, e precisamente l’8 gennaio, nasceva ufficialmente la V Repubblica francese. Il generale Charles De Gaulle, che aveva fatto approvare dal popolo la riforma costituzionale, ricevette dalle mani del presidente uscente, René Coty, il testimone della guida del Paese transalpino.
Quella riforma costituzionale ha costituito la stabilità politica della Francia, che fra alti e bassi è cresciuta molto più dell’Italia e, soprattutto, ha oggi un debito pubblico del 100% sul Prodotto interno lordo contro il 132% del nostro Paese.
Nel 1956 fu posta la prima pietra di quella fondamentale infrastruttura denominata Autostrada del sole, che voleva riunire Milano a Napoli lungo un percorso di 750 chilometri. Il Governo dell’Epoca, guidato da Antonio Segni, scelse di investire le modeste risorse disponibili sull’autostrada piuttosto che sulla linea ferrata. Questa scelta favorì lo sviluppo delle automobili e soprattutto della Fiat, che dominava il Paese nostrano. La Cinquecento costava 450 mila lire e un litro di carburante 95 lire.
Sembra di parlare di un altro pianeta e invece guardiamo il nostro Paese di quasi sessant’anni fa. Allora c’era un’alta evasione, ma la spesa pubblica era ridotta all’osso: quindi il bilancio dello Stato quadrava.
 
Centosettantanove anni fa (1839), precisamente il 30 di ottobre, un treno sbuffante percorreva la prima linea ferrata del Paese (forse d’Europa) e cioè la Napoli-Portici.
Perché abbiamo citato questi fatti e queste date? Perché il nostro Paese è stato all’avanguardia in tanti processi di sviluppo, che poi però si sono fermati e non hanno proseguito per mantenere il primato, almeno in Europa.
Proprio l’Europa cominciò la sua esistenza con la firma del Trattato di Messina – protagonista il ministro degli Esteri, liberale, Gaetano Martino – al quale parteciparono i sei soci fondatori (Italia, Germania, Francia, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi).
L’Europa si è ingrandita, ha aggiunto altri 22 partners pur fissando definitivamente soltanto dodici stelle nella bandiera con il fondo blu.
Ora la Gran Bretagna si accinge ad uscire, nella data prevista del 31 marzo 2019. Quella Gran Bretagna che non è mai voluta entrare nell’Unione monetaria, gelosa della sua Sterlina e che, per la verità, non si è mai integrata nell’Unione.
 
I decenni sono passati e si arrivati alla crisi dei primi anni Novanta, con la Finanziaria lacrime e sangue del Governo Amato, che prelevò lo 0,6% del denaro presente nei conti bancari dei cittadini.
Nel 1994 iniziò la Seconda Repubblica, che ci ha portati dritto a oggi. Questi ultimi dieci anni sono stati tremendi, con la crisi internazionale che ha colpito in modo particolare il nostro Paese, debole e fragile.
Il Sud è rimasto ancora più indietro del Nord, la forbice si è allargata anche per l’assenza di infrastrutture. La povertà si è diffusa insieme con la corruzione, approfittando di una Pubblica amministrazione sempre più sconquassata, ove non esistono i valori di merito e responsabilità.
Il Paese è allo sbando, anche perché la Classe politica è formata da ex disoccupati e da persone che nella vita non hanno concluso mai niente di buono, mentre nell’incarico istituzionale hanno trovato una sistemazione anche economica.
Non scriviamo questa nota con pessimismo, ma fotografando la realtà, che deve cambiare (presto), se vogliamo, come si usa dire, che le generazioni seguenti non trovino solo macerie.

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