Nove milioni di auto record nel decennio - QdS

Nove milioni di auto record nel decennio

Carlo Alberto Tregua

Nove milioni di auto record nel decennio

martedì 05 Maggio 2009

Tutti si lamentano ma vanno in ferie

Nel ponte del 1° maggio vi sono stati ben nove milioni di auto sulle autostrade, record negli ultimi dieci anni. Tutti si lamentano che non c’è lavoro, non ci sono soldi, non si arriva alla quarta settimana, ma quando è il momento di divertirsi si parte, seppur  cercando di limitare la spesa. Il boom di italiani in circolazione per il ponte testé concluso ne è una evidente dimostrazione.
Il che non significa che non c’è crisi, ma al suo interno vanno individuate le parti che tirano e quelle che sono in flessione. Fra queste ultime vi è sicuramente l’esportazione perché vi è crisi nei Paesi riceventi, non perché i prodotti italiani non siano competitivi. Ovviamente appena ritornano a livello precedente le economie dei Paesi importatori, anche le esportazioni italiane ritorneranno come prima e più di prima.
Non c’è crisi nella Borsa di Milano, ove proprio in questi giorni si è superato di oltre un punto percentuale il livello del 1° gennaio. Da ora in avanti la Borsa non potrà che crescere. Non c’è crisi nel settore della grande distribuzione e grande ristorazione. La Gdo ha chiuso in progresso il 2008 e già nel primo trimestre è in vantaggio.

Nessuna crisi c’è stata nel settore pubblico: i 3,6 milioni di dipendenti hanno ricevuto regolarmente stipendi e perfino premi, immeritati, perché non rapportati ai risultati. Nessuno di essi è andato in cassa integrazione e tutti hanno potuto mantenere il loro standard di vita senza alcuna limitazione.
Quando si confronta questa categoria di privilegiati con operai, impiegati e funzionari andati in cassa integrazione con due terzi del compenso, si capisce che questa enorme discrepanza non è più accettata da nessuno.
E questo fa affossare la rappresentanza dei sindacati, i quali tutelano ormai solo i pensionati (in maggioranza tra gli iscritti) e i dipendenti pubblici, mentre trascurano il ben più alto numero dei dipendenti privati. Non è in crisi la casta politica, perché nessuno degli appartenenti alla stessa, dallo Stato alla piccola municipalità, è andata in cassa integrazione e ha perso un solo euro di compensi, emolumenti, indennità e benefit di ogni genere.

Come può la gran parte della gente che fa sacrifici, avere considerazione di chi sta al vertice, ma non dà l’esempio di voler partecipare agli stessi? è una sconcezza senza pudore. Per esempio, al Senato della Repubblica si lavora solo 10 giorni al mese e ad aprile i senatori hanno battuto il record tra i nullafacenti: solo 7 ore in una settimana.
In Sicilia, la crisi non c’è stata e non c’è, perché eravamo già in crisi: una crisi strutturale che dura da 60 anni. La causa principale è che la greppia pubblica è assaltata da cordate e corporazioni di parassiti ed il ceto politico non sa sottrarsi all’assalto, per cui mantiene elevata la spesa corrente, cioè quella cattiva, e bassa la spesa per investimenti e innovazione.
La mala politica ha alimentato il desiderio di decine di migliaia di privilegiati e raccomandati, quali sono i precari, di entrare nella pubblica amministrazione regionale e locale. Noi sfidiamo dieci di essi ad inviarci una richiesta di lavoro dipendente o autonomo, un lavoro produttivo che c’impegnamo a fornire con regolare contratto.

Leggiamo una notizia: “I camalli del porto di Savona non trovano giovani da assumere”. I camalli, per chi non lo sapesse, sono operatori portuali che devono possedere il diploma e parlare inglese, come ha spiegato Fabio Pollero, presidente della Compagnia portuale. Perché i giovani disertano questa ottima offerta di lavoro? Dicono che fare l’operatore portuale, il quale peraltro utilizza mezzi mobili e non trasporta più le balle sulla schiena, è “un mestiere faticoso e poco considerato socialmente”.
L’esempio menzionato deriva dal fatto che chi cerca lavoro non è sempre disponibile a fare sacrifici, anche per acquisire competenze indispensabili. Le competenze mancano alla Sicilia per uscire dal ghetto del sottosviluppo, e manca la voglia di fare, di progredire, di impegnarsi per essere bravi. Ecco, abbiamo bisogno di bravi professionisti, non importa che lavorino nel settore autonomo o dipendente, pubblico o privato. Ma perché ciò accada anche il vertice politico bravo deve dare indicazioni precise in questa direzione, col proprio esempio.

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