Gino Ioppolo: "Ecco come ho salvato Caltagirone" - QdS

Gino Ioppolo: “Ecco come ho salvato Caltagirone”

Paola Giordano

Gino Ioppolo: “Ecco come ho salvato Caltagirone”

sabato 24 Novembre 2018

Il sindaco Gino Ioppolo ci spiega come è riuscito a salvare Caltagirone: “Mi dissero che ero il sindaco più sfortunato d’Italia, ma sono uscito dal dissesto”

CALTAGIRONE – Ad oggi rappresenta un unicum nella storia delle situazioni finanziarie degli Enti locali italiani: si tratta del risanamento del deficit del Comune di Caltagirone.
 
Per capire come l’attuale amministrazione sia riuscita nell’impresa – che riguarda, ahinoi, molti Comuni siciliani – abbiamo interpellato il sindaco della città calatina, Gino Ioppolo, il quale ci ha subito chiarito che “il Comune di Caltagirone è andato in dissesto per una montagna di debiti contratti dalle varie amministrazioni fino al 31 dicembre del 2011, termine che venne fissato dalla dichiarazione del dissesto intervenuta nel marzo del 2013. Accanto ai debiti consolidati fino alla predetta data del dicembre 2011, anche successivamente è maturata un’altra esposizione debitoria per i debiti fuori bilancio, il tutto ammontante ad un importo di circa 60 milioni di euro”.
 
“Il dramma del Comune di Caltagirone – prosegue Ioppolo – fu non soltanto la dichiarazione del dissesto, ma l’impossibilità o incapacità di adottare le delibere di bilancio a partire dal consuntivo del 2011, consuntivo che venne approvato solo alla fine del 2012. Dopo questo bilancio il Comune non potè più dotarsi di tale strumento fino a quando non mi sono insediato io. Quindi la mia amministrazione ha trovato una doppia difficoltà: l’ammontare dei debiti e i documenti contabili mancanti per tutti gli anni dal 2012 al 2016. Il che giustificò la frase che pronunciò il capo della direzione del ministero dell’Interno per il controllo sulla finanza locale quando lo andai a trovare la prima volta, subito dopo il mio insediamento, avvenuto a fine giugno del 2016, ‘lei è il sindaco più disperato d’Italia, perché nessun Comune italiano era riuscito a fare peggio di Caltagirone’”.
 
Come siete riusciti ad uscire dal dissesto?
“Ho avuto dalla mia la forza derivante dalla presenza di un assessore molto competente, il tributarista internazionale Massimo Giaconia, che non ha preso il becco di un centesimo e si è donato totalmente alla sua città di origine – che non ha mai abbandonato perché oggi è consulente dell’Amministrazione. E che si è dimostrato un vero mago dei numeri. È stato grazie alla sua e alla nostra caparbietà e alla sua competenza messa a disposizione degli uffici di Ragioneria generale che, esattamente in nove mesi, riuscimmo ad avere un’ipotesi di cinque bilanci stabilmente riequilibrati, perché la legge prevede e pretende che non solo si debbano adottare i bilanci dopo il dissesto, ma che essi debbano essere stabilmente riequilibrati. Ed è così che arrivammo, praticamente alla fine del 2017, dopo poco più di un anno dal mio insediamento, ad avere il decreto del ministero degli Interni che riconosceva formalmente la fuoriuscita dal dissesto. Ma per l’appunto è una fuoriuscita formale, perché la legge, per la quale abbiamo anche proposto alcune modifiche al ministero degli Interni, prevede che tutti i debiti comunque non pagati durante la fase del dissesto dall’organismo straordinario di liquidazione (Osl) tornino nel bilancio ordinario. Tale organismo, che si insedia nei Comuni subito dopo il dissesto, viene dotato di una certa liquidità da parte del Ministero proporzionata all’ammontare dei debiti accertati in quel Comune ed ha il compito di chiamare tutti i creditori e di offrire loro la transazione al 50%”.
 
Qual è stato il responso dei creditori a Caltagirone?
“Purtroppo a Caltagirone soltanto pochissimi creditori aderirono alla soluzione del problema al 50%. Quindi rimase una massa imponente di debiti, anche dopo l’attività dell’Osl. Nel frattempo il Ministero degli Interni chiese la restituzione di questa massa liquida messa a disposizione dell’Osl e da essa non utilizzata”.
 
E la massa di debiti non saldata?
“I debiti rimasti ritornano sul bilancio ordinario del Comune, una volta chiusa la fase del dissesto. Questa è la ragione per la quale molti Comuni, usciti da un primo dissesto, si cacciano dritti dritti in un secondo dissesto, perché rimane un monte debiti che comunque va pagato e a cui non si può fare fronte con le risorse del bilancio ordinario. La liquidità che il Ministero voleva restituita da Caltagirone ammontava a quasi 16 milioni e mezzo. Noi siamo riusciti a convincere il Ministero dell’Interno che invece questa disponibilità di 16 milioni e mezzo, dopo la fase del dissesto, rimanesse quale dotazione finanziaria al Comune per pagare quei debiti che l’Osl non era riuscito a pagare, aprendo quindi una nuova stagione di trattative e di transazioni. Ovviamente non sono soldi del Governo dati a fondo perduto: sono soldi dati in prestito come un normale mutuo che verrà pagato in 20 anni. Questo ha comportato che noi siamo passati dal riequilibrio dei bilanci, che già sembrava un’operazione impossibile, al risanamento finanziario”.
 
Come ci siete riusciti?
“Siamo riusciti a far cambiare orientamento amministrativo al Ministero, convincendolo della bontà della nostra tesi, cioè che senza questa disponibilità finanziaria i Comuni escono da un dissesto e si ricacciano in un secondo dissesto. Questa tesi, che adesso appare vincente e che potrà essere utilizzata da tutti i Comuni nelle stesse condizioni in cui si trovava Caltagirone, io la espressi per la prima volta al sottosegretario di Stato al ministero dell’Interno Stefano Candiani, il quale mi disse che avevo ragione, che secondo lui i Comuni avrebbero rischiato di andare verso il secondo dissesto senza questa ‘innovazione’ e che si sarebbe fatto portatore di questa tesi al Ministero dove io avevo mandato delle note, delle richieste di parere, sollecitando il provvedimento che è arrivato qualche giorno fa. Il succo della questione è anche un altro: la legge che regolamenta la finanza degli enti locali e quindi anche i dissesti è vecchia di quasi 20 anni: è il D.lgs. 267/2000. Quelli erano anni in cui i Comuni che andavano in dissesto erano molto pochi. Adesso purtroppo questo elenco si allunga sempre di più, come ci insegna l’esperienza anche di Catania. Il ministero degli Interni, almeno per quello che mi ha riferito il sottosegretario durante i nostri due brevi incontri, vuole mettere mano a una riforma seria della disciplina sulla finanza locale e sui dissesti”.
 
Perché si arriva al default nei Comuni?
“Si arriva perché per anni non si è curata minimamente la riscossione dei tributi – sembrava che i sindaci non volessero riscuotere i tributi per male inteso senso di solidarietà nei confronti dei cittadini, insomma un sindaco che si ostina a chiedere il pagamento dei tributi locali diventa facilmente impopolare. E siccome abbiamo attraversato anni di demagogia, per cui i cittadini sembravano essere dagli stessi sindaci legittimati a non pagare. E poi per i debiti per attività non assolutamente necessarie, debiti anche per feste o altro, o addirittura questo può avvenire per la distrazione di fondi che giungono al Comune per investimento o per pagamento di espropriazioni e che possono essere utilizzati invece per spesa corrente. La cattiva gestione finanziaria dei Comuni quasi sempre si accompagna a una cattiva gestione amministrativa e politica. E se questo poteva avvenire quando c’era abbondanza di trasferimenti statali e regionali, adesso non è più possibile, anzi è ormai tempo maturo affinché i cittadini comprendano che i servizi forniti dal Comune vadano pagati puntualmente adempiendo all’obbligo tributario. Mi rendo conto che ci sono fasce della popolazione che non riescono a pagare i tributi locali, ma questa fascia non può essere mediamente quella del 50% perché l’evasione nei comuni siciliani e meridionali è all’incirca del 50%”.
 
Come si esce da questo tunnel?
“In questi due anni e più di amministrazione, Caltagirone ha dato una svolta verso il rigore, il taglio di spese superflue, anche grazie all’esempio che hanno dato sindaco e alcuni assessori di non percepire – come io non percepisco – l’appannaggio mensile. Come amo dire: noi abbiamo mangiato pane e cipolla dal punto di vista amministrativo, cioè non abbiamo fatto grandi concerti, grandi manifestazioni, perché abbiamo preferito pagare debiti del passato e quindi alleggerire il carico debitorio per poter rilanciare la spesa in chiave sociale, di sviluppo socio-economico – che è quello che mi prefiggo di fare adesso che ho ottenuto questo risultato, che è l’unico in Italia, e così sprigionare qualche disponibilità finanziaria del bilancio ordinario per lo sviluppo socio economico della città”.

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