Autonomia e assistenzialismo, paradosso siciliano - QdS

Autonomia e assistenzialismo, paradosso siciliano

Eleonora Fichera

Autonomia e assistenzialismo, paradosso siciliano

mercoledì 23 Gennaio 2019

Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna invocano l’articolo 116 della Costituzione: la “rivolta pacifica” del ricco Nord che ha dimostrato capacità di autodeterminazione. La classe politica ha ridotto l’Isola alla fame e non ha utilizzato lo Statuto, snobbato da Roma

PALERMO – “Le cose procedono a rilento ma sono convinto che il termine del 15 febbraio, posto come invalicabile da Salvini, resti valido. A quel punto, o il Governo accetta la bozza dell’accordo mandato due mesi fa a Roma, con le modifiche e i chiarimenti che i ministeri avranno apportato, o la risposta dovrà essere intesa come un no. E allora qualche considerazione andrà fatta e andrà fatta anche a livello politico perché quella dell’autonomia è una questione su cui noi della Lega e noi come cittadini lombardi non intendiamo derogare”. Con queste parole, il governatore della Lombardia, Attilio Fontana, ha ribadito qualche giorno fa, il pugno duro della sua Regione sull’autonomia. Il tema è estremamente caldo e sembra essere sempre in grado di infiammare gli animi. Sempre pochi giorni fa, infatti, un altro paladino della causa, il governatore del Veneto, Luca Zaia, ha affidato a Facebook una lettera aperta ai cittadini del Sud, ribadendo l’importanza di attribuire alle Regioni “virtuose” più responsabilità (e, di conseguenza, risorse) rendendole più autonome dal Roma. I due governatori, dal canto loro, si fanno forti dei referendum consultivi che nel 2017 hanno portato alla vittoria, seppur con un’affluenza non altissima, del fronte del sì. A Veneto e Lombardia va aggiunta anche l’Emilia Romagna che, bypassando la via della consultazione pubblica, ha già avviato l’iter per una maggiore autonomia tramite voto in Consiglio regionale.
 
Le tre Regioni fanno appello all’ormai famigerato articolo 116 della Costituzione che, per l’appunto, regola i rapporti Stato-Regione. Gli iter, sulla carta, sono già stati avviati ma concretamente la strada per l’autonomia si è rivelata più impervia del previsto. Lo scorso 21 dicembre si è tenuto un Consiglio dei ministri in cui l’ordine del giorno era, appunto, la richiesta delle tre regioni di “sganciarsi” dal Governo centrale. Il premier Giuseppe Conte, aveva allora annunciato un vertice per avviare un percorso d’intesa (per confermare l’autonomia, infatti, sarà necessario una legge la cui approvazione dalle due Camere, vista anche la diversità di vedute sul tema tra Lega e M5S, non è per nulla scontata). La data fissata per l’incontro è il 15 febbraio. Bisognerà quindi aspettare ancora un po’ per capire come evolverà il tutto.
 
Di certo c’è che le tre Regioni capofila non hanno nessuna intenzione di arretrare e che, come abbiamo visto, continuano a rivendicare con forza le loro ragioni. Lo fanno, anche, in nome di una concreta capacità amministrativa. Il “ricco Nord”, infatti, ha dimostrato di saper produrre ricchezza, di essere in grado di gestire le risorse, di meritare, insomma, i “privilegi” che derivano dall’autonomia e di saper fronteggiare le relative responsabilità.
 
Si può dire lo stesso della Sicilia, storica Regione a Statuto speciale? Guardando la situazione economica e politica, sembrerebbe proprio di no. L’Istat ci ha recentemente restituito un’impietosa fotografia dell’Isola: il 41,3 % dei cittadini, più del doppio della media italiana, è a rischio povertà e il reddito medio disponibile diminuisce (il dato siciliano, il più basso dopo quello della Calabria, è di 13.286 euro, la media italiana è di 18.505 euro) costringendo, un numero sempre più significativo di cittadini a dover ricorrere, per sopravvivere, ai sussidi statali. Lo dimostrano i dati relativi alle richieste del Reddito di Inclusione: secondo Openpolis la Sicilia è seconda in classifica per numero di beneficiari dopo la Campania (nel primo trimestre del 2018 i beneficiari sono stati 150 per 10.000 abitanti). Possiamo immaginare che anche per quanto riguarda il Reddito di cittadinanza, la nuova misura assistenziale approvata dal governo GialloVerde, le cifre non saranno molto diverse. Un altro triste primato, inoltre, contribuisce ad accrescere il bacino dei cittadini che hanno bisogno dei sussidi statali. La Sicilia, infatti, è una delle Regioni con il più alto numero di Neet (giovani non occupati e non impegnati in programmi di formazione o istruzione).Secondo l’Istat, nel 2017, nell’Isola si trovava in questa condizione il 37,6% dei giovani.
 
I numeri economici delle tre Regioni che rivendicano l’autonomia raccontano invece una storia differente. I redditi medi sono tra i più alti d’Italia, i Neet e i cittadini a rischio povertà sono decisamente meno numerosi così come i beneficiari delle misure di assistenzialismo.
 
Alla questione economica, si aggiunge poi quella politica. Le prerogative dello Statuto speciale sono state spesso “snobbate” da Roma. Le negoziazioni con il Governo centrale (su cui adesso punta il “nuovo” presidente Musumeci) hanno finito spesso per trasformarsi in battaglie perse dall’Isola, costretta ad accontentarsi delle briciole.
 
In Sicilia, inoltre, per decenni si sono succeduti governi che hanno fatto scempio dello Statuto speciale, che hanno usato l’autonomia della Regione come scudo per difendere privilegi e clientes. Così, un pasticcio dopo l’altro (dalle ex-province al mancato adeguamento al meccanismo di costi e fabbisogni standard, per citarne alcuni), la nostra Isola ha dato vita a un altro, l’ennesimo paradosso. L’autonomia si è trasformata in assistenzialismo. Gli amministratori regionali non sono stati in grado di sfruttare le opportunità dello Statuto in favore dei siciliani, ma ne hanno goduto solo per soddisfare se stessi, nascondendo le responsabilità sotto il tappeto.
 
 
IL FRONTE DEL “NO” ALL’AUTONOMIA DEI PRIVILEGI
 
Il merito deve essere quindi criterio per attribuire alle Regioni più responsabilità. Sì, almeno secondo la Svimez che è intervenuta sul recente dibattito rendendo nota un’analisi sul “Federalismo differenziato”. “L’autonomia – si legge nella nota – è da promuovere se è adeguatamente motivata e se aumenta l’efficacia e l’efficienza nell’uso delle risorse, senza compromettere il requisito di solidarietà nazionale”. Di certo, questo solleva più di qualche perplessità se si guarda alla realtà siciliana. Perplessità che non sono sfuggite a tanti rappresentanti politici e istituzionali che hanno, negli anni, sostenuto le contraddizioni interne allo Statuto speciale. “L’autonomia speciale – ha dichiarato Luca Antonini, ordinario di diritto costituzionale all’Università di Padova- è stata funzionale solo al privilegio”. “Sono un regionalista convinto – ha sottolineato Vito Riggio , presidente dell’Ente nazionale per l’aviazione civile – ma oggi mi considero un pentito della specialità”. E ancora: “Buttare l’autonomia regionale siciliana – ha tuonato Petrangelo Buttafuoco, scrittore – la bugia delle bugie”.
Dalla parte opposta della barricata, uno dei paladini dell’autonomia siciliana, l’assessore regionale all’Economia, Gaetano Armao che, seppur convinto della necessità di rivedere alcune parti dello Statuto, resta convinto della sua importanza .
“È vero – ha dichiarato al Qds in una recente intervista – troppo spesso lo Statuto è stato utilizzato da classi dirigenti spregiudicate e accompagnate da un basso livello di controllo sociale che non è riuscito a contrastare, per un verso, i molteplici tentativi di compressione della specialità e di progressiva riduzione di trasferimenti, per altro verso, la degenerazione di clientele e privilegi per i titolari di quella intermediazione parassitaria che ha riguardato la politica, la burocrazia, ma anche ampi settori del sindacato e delle associazioni imprenditoriali. Credo sia utile ed opportuno chiedersi se l’autonomia sia ancora utile ai siciliani e di quali riforme necessiti per accrescerne il rendimento istituzionale. Sicuramente permane intatta l’esigenza di una profonda riforma dell’autonomia differenziata”
 
COSTITUZIONE ART. 116
 
“Il Friuli Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Südtirol e la Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale”.
Così recita l’articolo 116 della Costituzione cui fanno appello i paladini dell’autonomia. “Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia – si legge ancora – [..] possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali […]. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata”.
 
STATUTO SPECIALE
 
Approvato il 15 maggio 1946, conferisce alla Regione Sicilia la competenza esclusiva su alcune materie le concede di legiferare con propri atti negli ambiti.
Tra questi: Enti locali, ambiente, turismo, lavori e opere pubbliche, istruzione, urbanistica, agricoltura, commercio, assistenza sanitaria, legislazione sociale.
A tutto ciò si aggiunge l’autonomia fiscale e finanziaria, ramo più controverso dello Statuto.

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