I famigli, gli amici degli amici, i parenti dilagano fra i ceti dirigenziali amministrativi, nei gabinetti degli assessori, nei consigli di amministrazione di società partecipate. A nessuno dell’entourage si nega un incarico ed il relativo compenso. Le consulenze si moltiplicano e fanno moltiplicare i costi in tutti quegli enti pubblici ove non ve ne sarebbe bisogno.
Il malcostume dilagante non tiene in alcun conto la necessità di gestire i soldi dei contribuenti in maniera corretta, in modo che la spesa sia efficiente e raggiunga gli obiettivi dei programmi che la politica stabilisce.
Come si misura l’efficienza della spesa? Attraverso il conseguimento dei risultati. Solo essi dicono la verità sulla competenza e sulla capacità dei dirigenti di organizzare bene i dipartimenti loro affidati col giusto impiego di figure professionali. Occorre un quadro equilibrato e dotato di strumenti anche informatici, soggetto ad un rigoroso controllo di gestione, che verifichi ogni sera se sia stata raggiunta quella porzione di risultato che sommata alle seguenti, dà il risultato finale.
Lo Stato non deve gestire, ma fissare le regole generali, che tutti i membri della comunità devono osservare, per demandare alle Regioni l’amministrazione dei territori e queste ultime alle istituzioni primarie che in uno stato moderno sono i Comuni.
Proprio gli enti locali sono i sensori del territorio, conoscono bene le esigenze dei propri cittadini e, in un quadro di interessi generali, devono prendere decisioni per tutelare coloro che vi abitano.
In questo scenario non si comprende neanche la presenza nell’attuale forma delle Province regionali che tutti, a parole, vogliono abolire. In Sicilia, poi, vi è il grande scandalo di una legge regionale (L.r. 9/86) che ha istituito le Province regionali in una forma non prevista dall’articolo 15 dello Statuto costituzionale.
Infatti, il secondo comma precisa che “L’ordinamento degli enti locali si basa nella Regione stessa sui Comuni e sui liberi consorzi comunali…”. In nessuna parte di esso è menzionata la parola province. Tagliare le province siciliane, così come istituite, significa eliminare uno spreco di 1,1 miliardi di euro e semplificare la gestionedel territorio.
La recente legge sul federalismo (42/09) ha impostato il decentramento delle funzioni amministrative dallo Stato alle Regioni e ai Comuni. Un modo per avvicinare il controllo dei cittadini sulle istituzioni locali e sulle loro spese, in modo che essi siano nelle condizioni di controllare il rapporto fra imposte pagate e qualità dei servizi resi.
Non sappiamo se, in parallelo con questa importante riforma istituzionale, governo e maggioranza, anche con l’ausilio dell’opposizione, procedano ad un forte dimagrimento dell’apparato centrale. Diversamente, la spesa pubblica è destinata a gonfiarsi per il raddoppio delle funzioni.
Portare verso il territorio l’amministrazione delle spese dovrebbe, in via parallela, tagliare la famelicità di tanti soggetti politici nell’accumulare doppi incarichi o incarichi familiari, in modo che siano separate le responsabilità ai diversi livelli.
Attendiamo la seconda legge sul federalismo che dovrebbe essere basata su costi standard e sugli standard di efficienza.