ROMA – Niente da fare, il Sud continua ad arrancare, prima e durante la crisi. Certo, la congiuntura economica più grave dal dopoguerra sta facendo sentire i suoi effetti soprattutto sul Mezzogiorno, già segnato da una strutturale debolezza della sua economia e dal deterioramento sistematico del contesto sociale.
Dal Check up Mezzogiorno, curato da Confindustria in collaborazione con l’Istituto per la Promozione Industriale, emergono i contorni di una vera e propria “emergenza Sud”. In particolare, si moltiplicano nelle regioni meridionali segnali di difficoltà decisamente più marcati rispetto a quelli riscontrabili nel resto del Paese: da una riduzione del Pil più elevata rispetto alla media nazionale (quasi mezzo punto nel biennio 2008-2009), a una più ampia caduta dell’occupazione (194 mila occupati in meno al Sud nel 2009); da un divario di produttività pari al 16% rispetto al Centro Nord, al forte calo delle esportazioni (tornate al livello del 2001). È come se dieci anni di lenti e faticosi tentativi di recuperare la distanza dal resto del Paese fossero stati rapidamente cancellati.
Il Sud riesce ormai a contenere tale distanza in termini di Pil pro capite (pari a poco meno di 42 punti percentuali) solo grazie al calo della natalità e alla ripresa dell’emigrazione, fenomeno che “impoverisce” il Mezzogiorno, soprattutto di giovani a elevata scolarizzazione. Gli indicatori di disagio economico mostrano che la povertà è significativamente più diffusa in tutte le regioni meridionali, raggiungendo i valori massimi in Sicilia e Basilicata (28,8% delle famiglie), rispetto a un dato medio del Centro Nord quasi 6 volte inferiore (5,4%). Colpisce, inoltre, il deterioramento del contesto civile, effetto di politiche pubbliche inefficaci.
La gran parte degli indicatori – dal funzionamento della giustizia, alla qualità della Pubblica amministrazione; dal peso della illegalità, ai ritardi nell’istruzione; dalla dotazione infrastrutturale, ai servizi alla cittadinanza e alle imprese – mostrano nel Mezzogiorno valori largamente inferiori alla media nazionale. Tutto ciò si traduce in un depauperamento del “capitale sociale” del Sud e, quindi, in una minore capacità di offrire un contesto favorevole agli investimenti. Non mancano, tuttavia, segnali positivi, provenienti proprio dal mondo delle imprese e dalla stessa fascia giovanile della popolazione.
Quasi un quinto delle aziende meridionali ha risposto alla crisi diversificando i mercati, migliorando i prodotti e introducendo, nel 50% dei casi, innovazioni nelle strategie aziendali.
Per quanto riguarda i giovani è degno di nota il fatto che il numero degli studenti del Sud che si laurea ogni anno è più che raddoppiato, passando in soli 7 anni da 54mila a oltre 118mila.
Altrettanto significativi sono il raddoppio dei laureati in discipline scientifiche e l’incidenza in alcune regioni meridionali (Campania) della spesa in ricerca e sviluppo rispetto al Pil, ormai allineata ai valori del Centro Nord.