Energia per un piatto di lenticchie - QdS

Energia per un piatto di lenticchie

Rosario Battiato

Energia per un piatto di lenticchie

mercoledì 05 Maggio 2010

Energia. Lo sfruttamento senza vero ritorno economico.
Il tesoro. Nei giorni scorsi l’Eni prima e la Shell dopo hanno annunciato la scoperta di grandi giacimenti di gas e petrolio sommersi nelle profondità del Canale di Sicilia.
Argomento. In Sicilia sono attualmente in vigore 21 titoli minerari che, insieme, producono il 10% di greggio e il 3% di gas a livello nazionale. La Regione riceve royalties pari allo 0,3% del totale.

PALERMO – Nei giorni in cui Eni e Shell promettono grandi estrazioni dal Canale di Sicilia in termini di gas e greggio, cominciano anche i primi dubbi sull’effettiva validità di una attività spasmodica delle compagnie petrolifere, che trivellano il mare e la terraferma lasciando appena qualche spicciolo di mancia alle casse regionali. La Sicilia infatti intasca una miseria in royalties rispetto altre regioni come la Basilicata e l’Emilia Romagna, ed infatti sono diversi colossi dell’energia – Edison, Shell, Eni – che stanno banchettando sul suolo siciliano con enormi rischi ambientali visto che le ricerche, in mare o in terraferma, costano molto in termini di sostenibilità. Dopo le cave e l’acqua minerale, l’ennesimo furto ai siciliani passa dall’oro nero e gas.
 
Quando la terra non basta c’è sempre il mare. Con questo motto i petrolieri, che da anni trivellano l’Isola e il circondario, continuano a perforare, minacciando le bellezze naturalistiche, dallo Ionio al Canale di Sicilia. A fine aprile l’annuncio dell’Eni – nel corso della conferenza stampa successiva all’assemblea degli azionisti – che tramite il direttore generale della divisione Esplorazione e produzione, Claudio Descalzi, ha precisato come siano stati scoperti parecchi miliardi di metri cubi di gas nel Canale di Sicilia. Lunedì scorso è invece stata la volta della Shell che sul Corriere Economia, tramite Marco Brun, presidente e amministratore delegato, ha dichiarato come nel Canale di Sicilia ci sia un autentico “tesoro petrolifero”. Una vera e propria manna dal mare che non costa quasi nulla.
Così, proprio nei pressi delle coste siciliane si continua a giocare un altro atto di una lunghissima partita che mette insieme i soliti noti del petrolio – Eni e Shell in prima linea – gli ambientalisti e i politici siciliani. Perché la ricerca costa tanto in termini ambientali e soprattutto rende pochissimo in termini economici alla Regione.
Attualmente nell’Isola ci sono 21 titoli minerari – 6 permessi di ricerca, 14 concessioni di coltivazione (nel dettaglio ci sono 13 titoli produttivi a gas e 5 a olio) e 1 permesso di ricerca di risorse geotermiche – e altre 11 istanze sono state presentate per il conferimento di nuovi titoli minerari, senza contare i permessi di ricerca nel mare antistante le coste isolane che sono almeno 12.
Ma al problema della Sicilia-groviera si associa anche la pochezza delle royalties incassate dalle casse regionali. Altrove si agisce diversamente, ma nell’Isola il sistema delle concessioni per gli idrocarburi liquidi o gassosi sembra seguire le medesime modalità di altre settori chiave come le sorgenti di acqua minerale e le cave; cioè realtà che sembrano inneggiare esclusivamente all’invasione delle imprese che in Sicilia vengono a cavare le ricchezze naturali per lasciare qualche spicciolo di mancia. Secondo i dati comunicati dalla Regione al ministero dello Sviluppo Economico – dipartimento per l’energia direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche – aggiornati al 12 aprile del 2010, la Sicilia ha prodotto nel 2009 qualcosa come 325.180.295 Smc di gas e 556.084.000 Kg di olio greggio, che sono pari rispettivamente al 3,6% della produzione nazionale di gas (totale di 9.070.428 migliaia di Smc) e al 10,65% della produzione nazionale di greggio (totale di 5.219.752 tonnellate).
Il gettito delle royalties è interamente versato alla Regione Siciliana dalla Eni Mediterranea Idrocarburi per una cifra pari a 420.099,82 euro. Un ammontare che ha il gusto amaro dell’elemosina se confrontato con quanto ricavano altre regioni a partire dalla Basilicata (3.155.531.469 Kg di produzione di olio greggio e 913.990.141 di Smc) che nel 2009 ha ricevuto qualcosa come 114.334.043,07 euro, sebbene i dati risalgano alla data del 30 giugno 2009, in quanto ulteriori proventi sono attesi dalla vendita delle aliquote di gas dovute alla Regione Basilicata al mercato regolamentato delle capacità e del gas. Il confronto si fa impietoso se paragonato con la produzione dell’Emilia Romagna che, pur essendo decisamente inferiore al contributo isolano, 28.869.969 kg di produzione di olio greggio e 157.829.126 Smc di gas, riesce ad intascarsi qualcosa come 13.895.143,19 euro.
Insomma, facendo due conti appare incomprensibile che una regione come l’Emilia produca il 19% di greggio rispetto il totale siciliano, ma intaschi il 33 volte di più.
L’autonomia si paga sempre a caro prezzo, in quanto in virtù dello statuto speciale della regione la competenza normativa e amministrativa sulla terraferma è completamente autonoma, così l’Isola intasca solo 400 mila euro di royalties per la produzione, mentre per tutte le concessioni (quindi permessi di ricerca e concessione di coltivazione di miniere e cave, idrocarburi liquidi e gassosi sulla terraferma e sul mare adiacente) arriva a poco più di un milione di euro.
Eni, Shell, Edison e tutte le altre ringraziano sentitamente.
 


Legambiente: “Purtroppo la Lousiana non è lontana”
 
PALERMO – Ecco le zone d’elezione per le trivelle siciliane: cinque titoli produttivi ad olio (Gela, Giaurone, Irminio, S. Anna e Ragusa) e 13 titoli produttivi a gas (Bronte-S.Nicola, Case Schillaci, Comiso II, Fiumetto, Gagliano, Gela, Giaurone, Irminio, Lippone-Mazara del Vallo, Ragusa, Rocca Cavallo, S. Anna, Sampieri) e 6 permessi di ricerca. “L’attività di ricerca – ha spiegato Enzo Parisi di Legambiente Sicilia – risulta essere altamente invasiva per il territorio marino, e non è detto che la Louisiana sia così lontana”.
Per trivellare nel mare, ed altrove, le compagnie petrolifere hanno bisogno di “speciali fluidi e fanghi perforanti – precisa il dossier Trivellazioni Petrolio Off-Shore realizzato da Francesco Ferrante del Pd –  per portare in superficie i detriti perforati (cutting). Questi fanghi sono tossici, difficili da smaltire e lasciano tracce di cadmio, cromo, bario, arsenico, mercurio, piombo, zinco e rame”. Non solo. “In Basilicata – prosegue Parisi – hanno saputo contrattare con le imprese e c’è maggiore regolazione dell’attività estrattiva”.

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