Snellimento burocratico tutelando le professioni - QdS

Snellimento burocratico tutelando le professioni

Raffaella Pessina

Snellimento burocratico tutelando le professioni

venerdì 25 Giugno 2010

Forum con Filippo Ribisi, presidente Confartigianato Imprese Sicilia

Cosa ne pensa dello snellimento delle procedure burocratiche a favore delle imprese?
“L’autocertificazione potrebbe funzionare nel momento in cui in Italia vi fosse la cultura delle verifiche, dei controlli. Per esempio, gli impiantisti per poter essere abilitati a realizzare impianti hanno bisogno di una particolare qualifica nonché autorizzazione. Il che rappresenta un laccio, siamo d’accordo. Però nella vecchia legge 46 era previsto che tutte le dichiarazioni di conformità, che sono tra l’altro delle dichiarazioni che l’installatore fa, andavano a finire ai Comuni, i quali si dovevano attrezzare per fare, a campione, le verifiche di questi impianti.
Nel Dm 37 è stata cassata la parte che riguarda le verifiche. Già con la legge 46 del 90 le verifiche erano state previste ma mai fatte, con il Dm 37 queste sono state addirittura eliminate. Se noi vogliamo avviarci verso la sburocratizzazione, dobbiamo comunque salvaguardare le professionalità e soprattutto la sicurezza. Se non ci sono pesi e contrappesi il discorso non può funzionare. Io sono per la liberalizzazione delle professioni, però si deve comunque salvaguardare la funzionalità del sistema. Oggi è possibile fare un’impresa nell’arco di 24 ore. Dichiaro di saper fare il panettiere, ad esempio, e apro una azienda. Nessuno viene a verificare se è vero o non è vero. Ogni impresa si deve assumere le proprie responsabilità”.
Quali tra i vostri settori associati ha subito maggiormente la crisi economica?
“Tempo fa, quando la crisi aveva investito tutta Italia, in Sicilia non era ancora arrivata, oggi qui da noi siamo in piena crisi. Adesso le imprese stanno cominciando a soffrire seriamente, e quella crisi che adesso al Nord sta passando, da noi è in pieno svolgimento. Il settore maggiormente in crisi è quello dell’edilizia. I benefici che ci aspettavamo tutti dal Piano casa non ci sono stati proprio per quei lacci che impediscono un iter burocratico veloce. I Comuni non sanno come recepire questa legge, che è stata approvata con modifiche rispetto a quella nazionale ed invece di essere un volano per lo sviluppo è diventato un altro sistema per impantanare ulteriormente il settore. Se a questo andiamo ad aggiungere che non ci sono nuovi lavori pubblici, adesso si sta solo cercando di rivedere la legge sugli appalti, e penso che sia un’ulteriore scusa per allungare i tempi. In Sicilia c’era una legge che, bene o male, funzionava. Sicuramente vi erano dei correttivi da inserire, ma comunque, rispetto a quella nazionale era meglio, specialmente per il tipo di lavoro nostro e rappresentava un giusto compromesso fra i costi e la qualità dei lavori. Quando con la nuova legge nazionale si parla dei maggiori ribassi, secondo me non si mettono dei giusti limiti, perché se un’impresa va a fare un ribasso del 40-45 %, diventa poi impossibile andare a realizzare i lavori, e poi le imprese più grosse, che sono quelle che fanno più danni, sono quelle che fanno i maggiori ribassi e poi vengono in Sicilia e subappaltano i lavori a prezzi troppo bassi”.
A volte i soldi ci sono ma non ci sono gli strumenti.
“Ad esempio sono stati stanziati 300 milioni di euro per la riqualificazione dei centri storici dei Comuni, ma gli stessi non hanno i piani particolareggiati e i soldi non si possono spendere. La Regione dovrebbe farsi carico di sbloccare la situazione nei Comuni che, invece, vengono bloccati dalle sovrintendenze, che per qualunque intervento devono dare il parere (per legge). Non dico che non siano utili, ma bisogna limitare allo stretto necessario”.
A proposito di formazione professionale, come Confartigianato voi avete un contatto con l’Assessorato al ramo?
“Si potrebbe sicuramente migliorare. Vi sono 78 enti che fanno formazione professionale ma poi alla fine non vengono fuori le professionalità che servono. Bisognerebbe che la formazione la facessero direttamente le imprese, estendendo l’apprendistato a tutte le categorie. Bisogna anche coinvolgere le Università, perché i formatori che ci sono oggi sono gli stessi che si riciclano in continuazione. Il rapporto con l’Università serve proprio a formare i formatori e ad aggiornarli di volta in volta”.
 

 
Il settore servizi sta reggendo meglio la crisi ma lo sviluppo del Sud passa dal federalismo
 
Quali sono invece i settori che in questo momento reggono la crisi?
“I settori dei servizi. Intendiamoci, non è che non sentono la crisi, ma svolgono delle funzioni necessarie come i carrozzieri e i parrucchieri, estetisti, etc. Le soluzioni ci sono e nella prossima convention che si svolgerà a Palermo il 24 e 25 giugno prossimi sulle problematiche del Mezzogiorno, vogliamo sviluppare delle proposte da portare al Governo nazionale. Ad esempio si potrebbero impiegare molti precari nella manutenzione dei beni pubblici, riqualificandoli per quel tipo di lavoro e allo stesso tempo rendendo fruibile un bene che altrimenti andrebbe inevitabilmente perso.
Lo sviluppo del Mezzogiorno deve passare attraverso un’ottica di federalismo, perché fin quando nella prima Repubblica i Comuni accumulavano debiti e poi c’era Pantalone che pagava, bene o male si ripianava tutto, oggi invece con il federalismo si potrà spendere in base a quello che si produce. Non si può più prevedere un investimento basato sull’assistenzialismo e faccio riferimento ad esempio alla Fiat. Le proposte che noi vogliamo portare avanti sono relative a tre assi: turismo, edilizia legata al turismo ed agroalimentare. Noi non vogliamo espandere le città, ma riqualificarle. Secondo noi il problema è quello di acquisire la mentalità di investire a lungo termine, quindi se il Sindaco vuole investire sul suo territorio, deve partire dalla riqualificazione ed utilizzare le forze lavoro che comunque in questo momento paga magari per fare solo le fotocopie”.

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