AUGUSTA (SR) – In questi giorni diverse persone hanno segnalato la presenza di pesci malformati pescati nel tratto di mare compreso fra Brucoli e Siracusa, e non solo all’interno del porto di Augusta, che presentavano segni evidenti di alterazioni morfologiche alla colonna vertebrale.
La scoperta di tali pesci malformati (notevoli scoliosi della colonna, colonna vertebrale ad ypslon ed ispessimento abnorme della colonna stessa, oltre a malformazioni riscontrate sia come numero che come forma a livello delle pinne) non è cosa nuova in quanto, in detto mare, da diversi anni tali ritrovamenti non si contano.
Ed altrimenti non potrebbe essere, considerato che nel 1989, quando fu dragato il porto di Augusta, si ebbe l’infelice idea di sversare in mare a qualche miglio dal porto i tossici e nocivi. Infatti, gli esami effettuati presso il dipartimento di Biologia marina dell’Università di Catania attribuiscono il fenomeno all’inquinamento industriale che ha interessato il mare attorno al petrolchimico siracusano. In particolare, è stata riscontrata l’elevata presenza di metalli pesanti (zinco, metil-mercurio, cadmio) che dovrebbero essere all’origine di tali malformazioni. Purtroppo, il fatto non si ferma qui in quanto il pescato finisce sulla tavola degli ignari consumatori ed è inoltre noto come nonostante gli sforzi della Capitaneria di porto si continua a pescare di frodo nella rada di Augusta.
Mara Nicotra, biologa marina dell’Università di Catania, in un suo studio conferma come i fondali antistanti la zona industriale siracusana siano altamente contaminati da metalli pesanti (in particolare il mercurio 22 volte superiore il limite consentito), diossine, idrocarburi policiclici aromatici e policlorobifenili (simili alle diossine). In detto studio, effettuato su un gruppo di invertebrati marini che vivono in colonie (Briozoi), la Nicotra afferma che “l’analisi tossicologica evidenziava la presenza di metalli pesanti in concentrazione simile a quella rinvenuta nei sedimenti.
Infine un ultimo studio, sempre dell’Università di Catania, sul Coris julis, un comunissimo e coloratissimo pesce della nostra costa, conosciuto nella zona come “iurea”, rispetto agli stessi pescati in una zona non inquinata (golfo di Riposto a nord di Catania) presentava evidenti mutazioni genetiche nel suo Dna.
Che la Rada di Augusta sia inquinata, lo si sa da sempre: il polo petrolchimico la avvelena dagli anni Cinquanta del secolo scorso e continua ad avvelenarlo, nonostante il depuratore consortile Ias, come dimostrato nell’inchiesta “Mare Rosso”. A partire dai primi anni Ottanta si sono iniziate a vedere le prime conseguenze drammatiche con un aumento, al di sopra delle statistiche regionali e nazionali per quanto riguarda tumori e malformazioni neonatali. E che ci sia un rapporto di causa-effetto con l’inquinamento lo dimostra il fatto che le suddette percentuali statistiche si dimezzano spostandosi di qualche decina di chilometri a nord o a sud dell’area industriale.
La Corte di Giustizia Europea si è pronunciata in merito all’eclatante caso di inquinamento della Rada di Augusta ribadendo il principio che “chi ha inquinato deve pagare”.
A molti la decisione della Corte potrà sembrare banale, ma in realtà la triste storia di quello specchio di mare dimostra che non lo è.
Busetta: “A Lampedusa l’agenzia per il controllo delle perforazioni”
PALERMO – “è difficile non condividere l’iniziativa dell’assessore al Terriorio e ambiente della Regione siciliana, Roberto Di Mauro, di riunire i comuni del Mediterraneo per controllare la ricerca di idrocarburi nel Mediterraneo”. Lo afferma Pietro Busetta, assessore alla Programmazione e allo Sviluppo economico di Lampedusa e Linosa e presidente della Fondazione Curella.
“Lampedusa – prosegue – si candida a sede di un’agenzia per il controllo delle perforazioni nel Mediterraneo, ma senza preclusioni ideologiche, considerato che la ricerca di idrocarburi non può essere fermata poiché nessuno vuole illuminare il nostro futuro con le candele e le fonti alternative non sono ancora sostitutive ma è necessaria una coerenza complessiva: non è pensabile bloccare le ricerche, e invece, consentire di costruire un grande bombolone come il rigassificatore di Porto Empedocle, a pochi chilometri della Valle dei Templi. Quello che per anni era la nuova frontiera della ricerca dell’oro nero non può diventare improvvisamente la disgrazia della Sicilia. Quindi controlli severi, ma niente blocchi indiscriminati e grande attenzione a ogni autorizzazione”.