Sono trascorsi ormai due anni dal nostro ultimo incontro: cosa è cambiato da allora per la Confederazione italiana Agricoltori della Sicilia (CIA)?
“Quasi nulla, anzi mi sento di poter dire che la situazione nel settore agricolo sia peggiorata. Del resto, ci sono delle difficoltà che riguardano il passato ma che ancora non sono state superate. Né si è imboccato il percorso del rilancio del settore. In questo c’è molta responsabilità della classe politica e del Governo, sia a livello nazionale che regionale. L’agricoltura siciliana è una delle più importanti d’Europa, la seconda del nostro Paese, dopo quella lombarda. L’agricoltura italiana si gioca il primato per importanza e per la produzione con la Francia. Detto questo, mi sembra legittima la richiesta di un’attenzione adeguata al ruolo che riveste e per le prospettive future che questo settore offre alla regione. Negli anni il nostro territorio ha dimostrato di avere una vocazione agricola, più che industriale, il che non significa che abbia una vocazione povera e senza prospettive future, ma al contrario. Bisogna cambiare la visione culturale che negli anni la classe dirigente si è costruita sull’agricoltura. La fame nel mondo, l’accordo di Kyoto, i cambiamenti climatici: sono fenomeni che, per quanto differenti tra loro, rivendicano tutti e tre l’importanza dell’ agricoltura”.
Qual è la motivazione che sta alla base di questa rivendicazione?
“Puntare sull’agricoltura significa investire su un settore che ha una prospettiva ed un ruolo nella globalizzazione ed anche nelle sorti del pianeta. Bisogna costruire un moderno sviluppo eco-sostenibile ed eco-compatibile in Sicilia, attorno all’agricoltura, che è oltretutto un settore multifunzionale”.
Cosa intende dire?
“Intendo dire che è un settore collegato al turismo, al mantenimento del paesaggio e dell’ambiente, che sono elementi che garantiscono anche la presenza turistica, alle energie rinnovabili, ai servizi ed all’artigianato artistico ed eno-gastronomico. In poche parole, voglio dire che affrontare i problemi dell’agricoltura significa affrontare i problemi dello sviluppo della nostra regione. Se si vuole avviare una politica moderna, che risponda alle esigenze di mercato, bisogna rompere con il passato. Fin’ora ci sono stati sprechi ed inefficienze in tutta la pubblica amministrazione; credo inoltre che uno sforzo debba provenire anche da parte degli agricoltori, chiamati ad un processo di ammodernamento e di riorganizzazione. Non è solo colpa della burocrazia, ma anche mancanza di strategia, oltre che di regia”.
Può farci un esempio?
“Sì, certo! Sono stati dati tanti contributi per la produzione biologica. La Sicilia ha la maggiore estensione biologica, ma è uno dei mercati con il minor consumo del biologico. Molti prodotti hanno la filiera normale. Se c’è un intervento che incentiva alla produzione di biologico, la logica vorrebbe che quel prodotto fosse valorizzato e immesso sul mercato. In Sicilia ciò non accade”.
Ma questi interventi non ricadono nel ruolo della Cia?
“Il nostro sforzo sta proprio nel voler valorizzare il settore agricolo, ma con non poche difficoltà. L’agricoltura negli ultimi dieci anni ha subito molti cambiamenti, tanto che chi non ha studiato non può farla, perché si devono conoscere gli strumenti per ottimizzare al meglio la produzione. Oggi la nostra agricoltura vive distante dai grandi mercati europei, perché produce in un territorio penalizzato dalla mancanza di infrastrutture; nonostante ciò, i nostri prodotti sono conosciuti in tutto il mondo, perché esiste un grande patrimonio ed una grande professionalità, che è riuscita a valorizzarli. Questa discrasia che vive l’agricoltura è addebitabile sia alla classe politica che alla resistenza ad organizzarsi in modo collettivo. Questi due fattori hanno contribuito a far sì che la produzione agricola perdesse potere contrattuale con la produzione organizzata. Noi non siamo stati capaci di relazionarci con il nuovo della Grande distribuzione”.
I nostri prodotti vanno all’estero, ma non vengono distribuiti adeguatamente sul territorio siciliano
Quali sono le strategie da adottare per consentire il rilancio della produzione agricola?
“Attraverso la modifica del Psr ’assessorato dovrebbe impegnare le risorse per promuovere, sostenere e rafforzare l’associazionismo tra gli agricoltori, perché è l’unico modo per poter riequilibrare il mercato con la Grande distribuzione. Un secondo aspetto riguarda il mercato regionale. La Sicilia conta 5 milioni di consumatori, di cui il 40% è concentrato tra Catania, Palermo e Messina. Nonostante ciò, i nostri prodotti arrivano a Bruxelles, ed a volte non sono distribuiti sul territorio. Credo inoltre che sarebbe opportuno avere un marchio siciliano, da costruire secondo le norme dettate dall’unione europee”.
Come mai, se in Sicilia c’è la grande distribuzione, non si consumano prodotti siciliani?
“Intanto, nella maggior parte dei casi, la grande distribuzione è di proprietà estera. In Italia l’unica impresa di grande distribuzione italiana è la Coop con cui si sarebbe potuto contrattualizzare, tanto più che nel resto d’Italia la grande distribuzione ha superato il 70%, mentre in Sicilia siamo a meno del 40%”.
Perché le aree incolte non sono sfruttate per la produzione di combustibile biologico? O ancora per impianti solari o eolici?
“Le biomasse hanno dei costi che devono competere con il costo del petrolio. Si tratta invece di produzioni a basso impatto reddituale, rispetto alle quali il grano è più competitivo. Per quanto riguarda il solare e l’eolico, ritengo che sfruttare i terreni per installare questi tipi di impianti sia una scelta scellerata, perché significa farli morire. Sono d’accordo sul fatto che si voglia sfruttare il fotovoltaico, purché si utilizzino i capannoni”.