Il paese frana e il sindaco guarda - QdS

Il paese frana e il sindaco guarda

Rosario Battiato

Il paese frana e il sindaco guarda

martedì 23 Novembre 2010

Territorio. Nei comuni dell’Isola un disastro annunciato.
Piani regolatori. Se il 70% delle città è a rischio lo si deve anche alla mancanza di adeguati strumenti urbanistici che tengano conto delle aree con maggiori situazioni di pericolo.
Il Pai. Il Piano di assetto idrogeologico regionale, cui i Comuni dovrebbero attingere per la propria pianificazione risale al 2003 e, per esempio, cita Giampilieri come territorio sicuro.

PALERMO – La stagione delle piogge presenta, come d’abitudine, il proprio conto alle casse dello Stato. Ogni anno la terra si sgretola sotto i colpi del maltempo, che trova un terreno fertile già abbondantemente lavorato da un’attività antropica incontrollata e poi ‘curato’ da una prevenzione inesistente. La tragedia del messinese del 2009 e le altre fasi di crisi del 2010 costano sempre cifre maestose a posteriori (130 milioni di euro per Giampilieri (2009) e San Fratello (2010) ed una ricostruzione ancora parziale, mentre una prevenzione adeguata potrebbe permettere una gestione sostenibile sia dal punto di vista ambientale che economico. Tuttavia gli ultimi dati diffusi da Legambiente nel rapporto Ecosistema Rischio Sicilia 2010 testimoniano una realtà costruita su un distacco decisivo tra territorio e classe dirigente isolana. Dal dipartimento territorio e ambiente della Regione sono state segnalate 30mila pericolosità nell’Isola.
In totale sono 273 i comuni siciliani a rischio frane o alluvioni, ossia il 70% del totale, secondo l’ultimo rapporto del ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e Unione Province d’Italia che risale però al 2003. Il dato complessivo testimonia l’esistenza di una Sicilia a grande rischio. Non fanno eccezione i nove capoluoghi siciliani tutti pienamente classificati: il primato di provincia più fragile va a Caltanissetta, con l’86% dei comuni classificati a rischio, seguono Messina, con l’84% dei comuni, e Agrigento e Trapani, entrambe con il 79% delle municipalità esposte al pericolo di frane e alluvione.
Nel complesso il 90% dei comuni siciliani presenta abitazioni nelle aree golenali, negli alvei dei fiumi o in aree a rischio, mentre nel 29% dei casi le strutture sensibili (scuole ed ospedali, ad esempio) sono costruite in zone esposte a pericolo. Sono 180mila gli abitanti isolani esposti quotidianamente al rischio, cioè il 4% del totale della popolazione siciliana. Non stupisce pertanto se l’Agenzia regionale per la Protezione dell’Ambiente (Arpa) qualifica il pericolo geomorfologico-idraulico come”il rischio più ricorrente e diffuso sul territorio regionale”.
Ci sono anche motivazioni naturali che nel corso degli anni hanno confezionato questo stato: 70% della componente argillosa prevalente o significativa dei terreni affioranti, regime pluviometrico, riduzione della copertura vegetale. In totale l’Agenzia quantifica 4588 aree a rischio geomorfologico elevato e 2166 aree a rischio molto elevato, dati che rispettivamente corrispondono a 1191 ettari e 954 ettari.
Fin qui i dati dello stato dell’arte, ma per rintracciare le motivazioni di questa mancata gestione del rischio bisogna affrontare il problema sotto molteplici punti di vista. Intanto esiste una questione sin troppo evidente che riguarda l’effettiva attualità dei dati contenuti nel Pai (Piano assetto idrogeologico), divenuto legge nel lontano 2006, ma da allora mai più ritoccato. Un esempio su tutti? Giampilieri non è considerata zona a rischio idrogeologico secondo il rapporto contenuto all’interno del Piano, e di certo appare difficile operare qualsiasi forma di prevenzione quando mancano i dati che dovrebbero far scattare una fase di allerta.
Aggiornamento o meno, tuttavia appare impossibile giustificare lo stato di perenne allarme senza pensare all’intensa attività antropica nell’Isola. Per regola ogni ente locale con Piano regolatore vecchio o approvato prima della redazione del Pai, dovrebbe rivedere punto per punto la sua espansione urbanistica in rapporto alle indicazioni specialistiche previste nel Pai e poi riportare il Piano regolatore in Consiglio comunale. Di fatto questo non accade mai, o molto raramente. Intanto perché la redazione media di un piano impiega dieci anni, tempo sufficientemente lungo per far cambiare molte cose, e poi perché sarebbe un modo ‘pericoloso’ per limitare l’indipendenza costruttiva che invece i comuni non vogliono minimamente intaccata.
“La maggior parte dei problemi – ha spiegato Vincenzo Sansone, dirigente dipartimento regionale Territorio e ambiente – arriva proprio dall’assenza di una pianificazione territoriale che tenga conto del Pai. Poi ci sono anche situazioni pregresse ma in linea di massima il problema principale resta l’adattamento dei piani regolatori”.
Ma anche quando si vuole costruire per la sicurezza il rischio è sempre dietro l’angolo. “Nel 52% dei comuni – si legge nel rapporto di Legambiente – sono stati realizzati interventi di manutenzione ordinaria delle sponde e delle opere di difesa idraulica e interventi di messa in sicurezza dei corsi d’acqua e di consolidamento dei versanti franosi, anche se talvolta tali opere si ispirano a filosofie superate e non adeguate, rischiando di rendere più fragili i territori dei comuni a valle”.
Risultato? Le opere di messa in sicurezza di fatto garantiscono una modalità per continuare a costruire nelle aree golenali con tutti i rischi del caso. Eppure qualcosa, anche tra i granitici enti comunali dell’Isola, sembra muoversi. Il 50% dei 111 comuni censiti dall’associazione del cigno è provvisto di un Piano da mettere in atto in caso di frana o alluvione, ma solo nel 36% dei casi i piani d’emergenza risultano essere stati aggiornati negli ultimi due anni. In ultima analisi una nota pesante come un macigno sul futuro dei siciliani in caso di emergenza: appena il 7% dei comuni isolani, attestano da Legambiente, ha svolto un lavoro un lavoro positivo di mitigazione del rischio idrogeologico.
 


Quell’assalto continuo al territorio già fragile
 
PALERMO – La Regione continuare a tenere alta l’allerta in quanto la duplice offensiva antropica e naturale continua l’assedio del territorio. “Gli ultimi aggiornamenti – ha spiegato Vincenzo Sansone, dirigente responsabile Dipartimento Territorio e Ambiente della Regione Siciliana – hanno segnalato 30mila pericolosità”.
Secondo il monitoraggio effettuato dal Dipartimento le zone più pericolose restano la parte tirrenica, ionica, il nisseno ed il palermitano. L’assalto territorio sembra continuo e pare che ancora la sensibilità degli amministratori locali sia lontana dall’essere adatta a contenere l’ampio margine di rischio regionale.
“I Pai (Piano per l’assetto idrogeologico, nda) una volta decretati sono sovraordinati agli strumenti urbanistici – ha spiegato Sansone – quindi bisognerebbe riportare il Piano regolatore in Consiglio comunale per l’aggiornamento, cose che avviene assai raramente. A noi basterebbe che quando rilascino la condizioni prendano in esame il Pai, cercando di far valere, al di là del Prg, le ragioni di questo importante strumento di prevenzione del rischio”. Gli ultimi piani decretati sono del 2007, mentre di recente ci sono stati degli aggiornamenti sulla provincia di Messina.

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