Debolezza e non forza paradosso berlusconiano - QdS

Debolezza e non forza paradosso berlusconiano

Carlo Alberto Tregua

Debolezza e non forza paradosso berlusconiano

venerdì 19 Giugno 2009

Riforme rinviate minano la maggioranza

Nel suo programma elettorale, Berlusconi aveva promesso di rivoltare la burocrazia pubblica come un calzino. Ma, fino ad oggi, salvo le forti dichiarazioni del ministro Brunetta, che fa tutto il possibile per attuare le riforme, risultati concreti non se ne vedono. Per esempio, l’obbligo per tutti gli uffici delle Pubbliche amministrazioni (statali, regionali e locali) di dotarsi delle caselle email e posta elettronica certificata (Pec). Un ritardo colpevole che grava enormemente sulle imprese, sui cittadini e sul sistema economico.
Tutti gli uffici pubblici continuano a usare carte e cartacce anziché il veicolo informatico (file). Alcuni stupidi dirigenti dicono che la carta è necessaria per consentire il controllo con l’apposizione della firma dei diversi responsabili. Costoro sono in malafede perché fanno finta di non sapere che esiste la firma digitale, che ha pieno valore legale, per cui, un qualunque documento di un qualunque procedimento amministrativo può essere validato per via informatica con relativa firma senza per questo essere necessario stamparlo sulla carta.

La verità è un’altra. Che tutto ciò che passa per la filiera telematica è registrato con data, ore, minuti e secondi, per cui può essere oggetto di controllo in qualunque momento, a posteriori, e senza limiti di tempo. Ed è proprio il controllo che la burocrazia pubblica teme fortemente, perché da esso emergerebbero disfunzioni, inefficienze e incapacità che fino ad oggi non vengono sanzionate.
Altra riforma fondamentale riguarda la Casta politica, a partire dalla trasformazione delle Province in consorzi di Comuni. è  improprio infatti parlare di abolizione di questo ente intermedio, perché esso è utile come struttura di coordinamento di tutti i servizi sovra comunali. Ma per la sua esistenza non è necessaria una bardatura di Consigli, assemblee, Giunte e presidenti eletti che costano al bilancio dello Stato quasi un punto del Pil (15 mld di euro).

Se le Province fossero costituite sotto forma di consorzi di Comuni, sarebbero gli stessi sindaci a formare il Consiglio e fra essi verrebbe scelto il presidente. Anche la relativa burocrazia sarebbe fornita dai Comuni, i quali ovviamente avrebbero qualche onere a carico, da recuperare mediante il taglio di sprechi e clientelismi. Ne citiamo uno, oggetto di un nostro precedente editoriale (pubblicato venerdì 29 maggio): l’associazione dei segretari provinciali e comunali che costa 120 milioni l’anno.
Una terza riforma fondamentale riguarda l’ambiente e il territorio. è vero che l’incombenza è di pertinenza di Regioni e Comuni, ma è anche vero che lo Stato deve stabilire il quadro normativo generale e le regole di tutela, anche concordandolo con le stesse Regioni nelle previste conferenze collettive. Ma non è possibile che ciò che vale per il Trentino non valga per la Sicilia e viceversa.

Nell’ambito della riforma su territorio e ambiente vi è l’annunciata iniziativa per l’ampliamento degli immobili, quello che la pubblica opinione ha memorizzato come Piano casa. Berlusconi usa d’abitudine il lancio di un’idea che poi verifica con i sondaggi. Se l’idea è accolta favorevolmente va avanti, se no, si ferma. Questo stop and go è una debolezza della sua azione, perché lo statista deve fare le riforme “a prescindere”. Diversamente come ricorda Montesquieu (La Brède, 1689 – Parigi, 1755) non vi sarebbe quella divisione di responsabilità sulla cui base deve fondarsi una comunità.
Uno statista deve indicare nel suo programma le priorità e poi attuarle senza indugio, indipendentemente dall’umore del popolo, il quale, se esse sono valide, dopo e non prima, le apprezzerà.
Auguriamo che il Cavaliere capisca come questo meccanismo dell’annuncio e del ritardo gli nuoccia, perché alimenta una debolezza interna nella quale speculativamente si crogiolano tutti i colonnelli. La rotta di un Governo deve essere chiara alla sua compagine e ai cittadini, i quali devono sapere dove vada la nave Italia, verso quale porto si diriga e con quale attrezzature sia in condizione di affrontare marosi e tempeste.
La barra ferma del capitano incoraggia, rincuora e pone fiducia all’equipaggio. Non lo dimentichi Berlusconi come responsabilità di guida (non di comando).

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