Tsunami, la storia parla chiaro rischiano anche le coste siciliane - QdS

Tsunami, la storia parla chiaro rischiano anche le coste siciliane

Antonio Gallitto

Tsunami, la storia parla chiaro rischiano anche le coste siciliane

giovedì 07 Aprile 2011

Il dramma giapponese ha riacceso le sirene. Le riflessioni dell'Ordine regionale dei geologi. Più esposta la costa orientale. Cassaniti: "Adeguare i piani di Protezione civile"

Palermo – Il terribile terremoto con tsunami che si è verificato ad oriente di Honsù in Giappone lo scorso 11 marzo, ha riportato alla ribalta il problema delle centrali nucleari. Il dibattito che in Italia ormai si affronta da un bel po’ di anni, ha lasciato anche lo spazio ad un parallelismo che vede il pericolo rappresentato dallo tsunami, come una probabile minaccia isolana.

 

Benché lo tsunami nipponico sia stato generato da una faglia lunga circa 800 km e larga 200 km, abbia sviluppato una energia elevatissima e si sia manifestato in una zona del mondo nella quale la zolla pacifica si incunea al di sotto di quella euroasiatica, Honsù non è l’unico posto al mondo nel quale possono avvenire simili eventi. I geologi sanno molto bene che anche in Sicilia esiste un pericolo tsunami che riguarda il Mediterraneo, lo Ionio e il Tirreno.

 

Il presidente dell’Ordine dei geologi di Sicilia, Emanuele Doria, parla di un vero e proprio caso che riguarda il Marsili, il vulcano attualmente sotto il Tirreno, e dice che “un serissimo rischio tsunami può innescarsi a causa di questo gigante sommerso attualmente non in attività”. Ma anche in Sicilia sud-orientale c’è un rischio tsunami altrettanto forte dovuto alla faglia denominata “Scarpata Ibleo-Maltese”, che al di sotto dello Ionio viaggia per buona parte della lunghezza della costa sud orientale dell’Isola e continua fino al largo di Messina. Questa struttura, che conta circa 370 km di lunghezza totale e arriva fino alle coste tirreniche di Calabria, è quella che potrebbe generare uno tsunami con onde molto pericolose.

 

“Già nel 1908 avemmo un forte tsunami – ci ha detto il vicepresidente dei geologi di Sicilia, Carlo Cassaniti – nell’area del messinese che provocò circa 80.000 morti. La nostra zona è a forte rischio sismico per cui occorre adeguare i piani di Protezione civile al rischio tsunami”. Il terremoto distrusse quasi totalmente le città di Messina e Reggio Calabria insieme a molti altri villaggi vicini, e un violento tsunami seguì la scossa principale con onde che si propagarono fino a Malta e raggiunsero i 13 mt di altezza sulle coste calabre, nei pressi di Pellaro, e quasi 12 mt a S. Alessio sulle coste siciliane.

 

Ma lo tsunami che ha interessato la Sicilia sud orientale nel 1908 non è stato l’unico, in quanto il Mediterraneo ha avuto diversi tsunami datati anche XVII-XVIII secolo.

 

Infatti, in Sicilia sud orientale, benché la nostra storia sismica non dovrebbe ricordarci terremoti di magnitudo 9 come quello giapponese, il 6 febbraio 1783 accadde un fortissimo tsunami.

 

Un violentissimo terremoto provocò il distacco di una grossa parte di montagna a ridosso di Scilla, la quale cadde in mare e generò un forte maremoto con onde fino a 9 metri sulla spiaggia di Scilla causando oltre 1500 vittime. Infine, anche a Siracusa e Augusta, a seguito di un altro terremoto, quello famoso del 1693, si verificò un forte tsunami che secondo recenti studi dell’Università di Bologna, ha messo in risalto l’effetto smorzante delle penisole, come ad esempio ad Augusta, sull’energia delle onde.

 

In altre parole, le onde di tsunami furono ridotte in ampiezza e pericolosità dalla barriera fisica rappresentata dal lato orientale della penisola colpita, cioè il fronte sul quale s’infrangeva l’onda che arrivava, continuando così sul lato occidentale con meno energia.

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