Malati Alzheimer, servizi carenti e a sopperire è sempre la famiglia - QdS

Malati Alzheimer, servizi carenti e a sopperire è sempre la famiglia

Margherita Montalto

Malati Alzheimer, servizi carenti e a sopperire è sempre la famiglia

giovedì 16 Giugno 2011

Secondo fonti Censis, il costo diretto a carico delle famiglie è pari a 10.627 euro all’anno. Figli, coniugi, parenti stretti: sono loro i principali caregiver dei pazienti

CATANIA- Parlare di Alzheimer è dare voci alle memorie che non sono presenti. Dovere sociale è dunque cercare di fare luce e sostenere comunque tutte le patologie che hanno dei costi non solo economici ma anche umani.
L’Alzheimer interessa e coinvolge pazienti e familiari e l’Alzheimer rappresenta ancora per molti versi un universo di isolamento e di sofferenza che fa paura scoprire e che si tende a mantenere nascosto. Dalle fonti Censis di un documento del marzo 2007 si legge.
“Tuttora la condizione dei malati di Alzheimer e dei loro familiari appare per molti versi emblematica delle difficoltà del nostro sistema sanitario e socio-assistenziale nell’approntare risposte e soluzioni adeguate per la presa in carico delle patologie croniche ed invalidanti che possono accompagnarsi alla condizione anziana”. Il fatto è che tale malattia coinvolge proprio le famiglie che diventano i caregiver per eccellenza. Ma cosa accade in itinere?
Essendo demoralizzante affrontare un paziente del genere i familiari si sentono schiacciati fisicamente e psicologicamente fino a provare uno sconforto tale da indirli all’isolamento. E il malato?
Ha bisogno comunque di cure e assistenza per la sua incapacità di autogestirsi. E il caregiver entra in causa. Se è in parte vero che i servizi siano migliorati con le UVA Unità di Valutazione Alzheimer e l’accesso gratuito a farmaci specifici, i Centri diurni e l’Assistenza domiciliare, le esigenze non riescono ad essere soddisfatte sul territorio. Sempre dal medesimo rapporto si evince che “Nelle aspettative dei caregiver il sistema in grado di rispondere effettivamente alle esigenze dei pazienti prevede l’aiuto economico e gli sgravi fiscali, il sistema della domiciliarità nelle sue articolazioni (Assistenza domiciliare integrata e Centro diurno innanzitutto), la disponibilità di un punto di riferimento unico per la diagnosi, la terapia ed il supporto assistenziale individuato nell’UVA.
 
I caregiver tendono infatti a concentrarsi soprattutto nella fascia d’età compresa tra i 46 ed i 60 anni (51,6%), a testimonianza di una maggiore prevalenza di caregiver figli, che infatti rappresentano il 64,1% degli intervistati (mentre i coniugi/partner risultano pari al 25,2%)”. In più “l’interazione dell’utenza con l’UVA evidenzia le seguenti caratteristiche: sono circa i due terzi del totale (il 66,8%) i pazienti che frequentano l’UVA, con un tempo medio di attesa per l’accesso pari a 3,2 mesi; i pazienti che vi si rivolgono evidenziano un rapporto tendenzialmente prolungato nel tempo (in media da tre anni) e sono stati visitati mediamente 8,6 volte da quando hanno avuto accesso alla struttura”. Si è cercato di capire poi il motivo per cui un  significativo campione di pazienti non frequenta l’UVA. “Tra le motivazioni più frequenti sono indicate l’inadeguatezza del servizio alle esigenze del paziente (espressa dal 24,1% dei rispondenti), la non conoscenza delle UVA (fa riferimento ad essa il 22,6%) e la mancata erogazione dei farmaci (il 17,3% che ha smesso di andarci perché non gli vengono somministrati i farmaci), lo stadio avanzato della malattia (12,8%). meno di un paziente su cinque usufruisce dell’Assistenza Domiciliare, socio assistenziale, integrata o di entrambe (il 18,5%, contro il 6,1% del 1999).
Le ore di assistenza settimanali ricevute dai pazienti che possono contare su questo servizio sono mediamente 7,6, ripartite su una media di 3,3 giorni a settimana. Il servizio di ADI, o la prestazione socio assistenziale domiciliare, prevede per altro un costo per il 36,5% di quanti ne usufruiscono. A frequentare i Centri Diurni è il 24,9% (contro l’8% registrato nel 1999), anche se con grandi differenziazioni territoriali (30,0% nelle regioni del Nord Italia, 25,1% al Centro e 10,7% al Sud e nelle Isole).
 
I pazienti che usufruiscono del Centro Diurno vi si recano mediamente per 4 giorni a settimana, e per un numero medio di ore settimanali pari a poco meno di 30. La quasi totalità delle famiglie che usufruisce del Centro Diurno (l’81,0%) deve sostenere per esso un costo, in media pari a circa 330€ mensili”. La situazione però i un certo senso dal 2007 al 2010 sembra non cambiare abito. Dai dati presentati dal Censis nel 44esimo Rapporto sulla situazione sociale del Paese del 2010 è stato pubblicato “Il costo diretto a carico delle famiglie che assistono un malato di Alzheimer è pari a 10.627 euro all’anno, a cui possono essere sommati circa 46.000 euro di costi indiretti, per un costo medio annuo complessivo per paziente di 56.646 euro”.
 


Diagnosi e cure. Servono presto nuove strategie terapeutiche
 
La diagnosi di Malattia di Alzheimer si basa su tests neuropsicologici ed esami strumentali (RM, SPECT,) e valutazione clinica del paziente.
La diagnosi di certezza fino a poco tempo fa era solo l’esame istopatologico oggi si basa con la quasi certezza assoluta sulla possibilità di utilizzare dei markers biologici. Dubois (ricercatore francese) nel ‘07 ha descritto dei criteri di valutazione basandosi sull’opportunità di testare dei markers biologici.
Nella malattia di Alzheimer l’indagine strumentale si basa soprattutto nella presenza di atrofia.
Esistono dei fattori di rischio per la malattia: età, basso livello di istruzione, stile di vita (mancanza di interessi), genetici, traumi cranici commotivi, lunghe anestesie.
A tutt’oggi esistono farmaci che tentano solo di rallentare il processo di decadimento cognitivo della malattia che danno un discreto beneficio, soprattutto nelle fasi iniziali della malattia.
La speranza è quella di avere presto nuove strategie terapeutiche per cercare di debellare la malattia, che sembra essere la malattia del secolo. In Italia, sono circa 600.000 le persone affette da tale malattia.
 

 
I costi relativi al trattamento del malato
 
Una particolare attenzione va rivolta ai costi che questa malattia impone che vanno dall’investimento delle risorse umane ovvero il personale specializzato (che deve essere istruito e che deve farsi carico di assecondare un tempo sottratto per l’assistenza ai parenti che deve essere gestito sulla quantità  e qualità  del lavoro disponibile) alle risorse economiche proprio per la caratteristica delle conseguenze procurata da questo genere di malattie che suggerisce la necessità  di una loro valutazione secondo la prospettiva economica. I dati Censis-Aima (Associazione Italiana malattia di Alzheimer) riferiscono una  previsione: “nel 2020 i nuovi casi di demenza saliranno a 213.000 l’anno, di cui 113.000 attribuibili all’Alzheimer”. “La grande maggioranza dei pazienti che ricevono gratuitamente i farmaci, li ottengono dalle Unità di Valutazione Alzheimer (l’81,9%), mentre nel 15,9% dei casi è lo specialista che fornisce direttamente, e gratuitamente, i farmaci al paziente.
I costi riguardano il trattamento del malato, gli spazi da dedicargli e renderli a sua misura, diete e i costi dal punto di vista di screening. Ci sarà poi il processo riabilitativo cognitivo, l’inserimento in RSA, del caregiver (badante, frequentemente straniera 40,9%, con una maggiore presenza (24,4%) di situazioni in cui la badante convive con il paziente che dorme nella stessa casa), mentre nel 16,5% dei casi la badante vive altrove. Si tratta in prevalenza di badanti straniere, presenti nel 32,7% del campione complessivo, contro l’8,2% di famiglie nelle quali la badante è italiana, se non viene accudito da familiari. Ed infine, la gestione delle comorbidità (essendo per la maggior parte  dei casi pazienti anziani).

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