“Sciami sismici? Non collegati” - QdS

“Sciami sismici? Non collegati”

Antonio Gallitto

“Sciami sismici? Non collegati”

martedì 22 Novembre 2011

Tra scienza e paura, si torna a parlare di terremoti dopo le ultime leggere scosse in varie zone dell’Isola. Il geologo Stefano Catalano: “La questione dei segnali premonitori è controversa”

CATANIA- Cos’è successo sui Monti Iblei tra il 10 e il 15 ottobre appena trascorsi, per scatenare questa sequela di scosse quasi senza sosta definite dagli esperti “sciame sismico”?  Ce lo spiega il prof. Stefano Catalano, geologo e ordinario di Geologia strutturale presso la sezione di Scienze della Terra del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche ed Ambientali dell’Università di Catania. Anzitutto, una prima considerazione e cioè abbiamo avuto sciami sismici da maggio a oggi tra Palermo, Messina e Catania.
 
Possiamo collegare questi ultimi terremoti con quanto detto prima?  “Non vi è alcuna connessione tra i fenomeni – esordisce Catalano -. Nonostante i comportamenti sismici delle due aree siano apparentemente simili, essi si sono sviluppati in contesti geologici profondamente diversi che non giustificano alcun collegamento diretto. Per inciso va precisato che, in entrambi i casi, l’allarme della popolazione è stato causato più dalla frequenza che dalla intensità degli eventi, i quali rientrano in una sismicità minore ben al disotto dei massimi registrati nelle regioni interessate”.
Queste scosse ci fanno venire in mente quanto accaduto a l’Aquila due anni fa, ma anche in questo caso il docente ci spiega: “Questo argomento è molto delicato e, nel caso dell’Aquila, ha avuto anche risvolti di carattere giudiziario. In ambito scientifico  – illustra il professore -, la questione dei segnali premonitori è molto controversa, in quanto la manifestazione di alcuni fenomeni non ha ancora una interpretazione univoca, tale da essere applicata proficuamente nel campo della protezione civile. Le valutazioni di pericolosità sismica di una data regione vanno basate su un bilancio tra energia elastica accumulata dalla crosta e l’entità di energia rilasciata dai terremoti. Maggiore è il disequilibrio tra le due, maggiore è la probabilità che si verifichi un evento sismico. I dati attuali ci dicono che vi sono numerose regioni italiane nelle quali vi è un notevole accumulo di energia elastica, parte della quale può essere rilasciata da sciami sismici come quelli del messinese e dell’area iblea. Va comunque sottolineato che  – continua – gli effetti del terremoto, rapportati alla magnitudo dell’evento, sono in gran parte imputabili alla notevole vulnerabilità degli edifici danneggiati. Una reale mitigazione del rischio, specialmente in aree con un patrimonio storico da salvaguardare, non passa attraverso la chimera di una salvifica previsione dei terremoti che rimane un obiettivo affascinante, ma non determinante. È necessaria, piuttosto, una prevenzione continua e protratta negli anni che preveda la conoscenza dettagliata delle risposte sismiche dei diversi siti, la localizzazione e la caratterizzazione delle faglie potenzialmente pericolose e l’adeguamento del tessuto urbano alle massime magnitudo attese nelle diverse aree”.
Ma a che punto siamo con la mappatura delle faglie attive che provocano, cioè, i terremoti? “Esiste la conoscenza approfondita sulle faglie attive della Sicilia orientale –ha affermato Catalano- ed esistono numerose informazioni aggiuntive contenute negli studi effettuati per conto delle amministrazioni locali, ai fini della stesura dei documenti di pianificazione urbanistica. Sarebbe opportuno  – conclude -, coniugare le informazioni ottenute, al fine di definire uno strumento di pianificazione unico a livello regionale, cui ispirare le linee guida per una mitigazione dei rischi”.

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