Quanto è buona l’acqua del sindaco - QdS

Quanto è buona l’acqua del sindaco

Carlo Alberto Tregua

Quanto è buona l’acqua del sindaco

sabato 18 Luglio 2009

Acqua minerale: un lusso superfluo

Vi sono acque minerali non potabili che, se non fossero minerali, sarebbero vietate per l’uso comune. L’uso d’acqua imbottigliata in brutte bottiglie di plastica è diventata un’abitudine per tutti noi, succubi di una martellante pubblicità che ci induce al consumo della minerale per la nostra vita, senza che vi sia necessità alcuna.
In questo modo di vedere vi è una grossa responsabilità degli enti locali, i quali con la loro inefficienza hanno fatto diffondere il luogo comune che l’acqua del sindaco non sia buona. Certo, vi sono difetti nel controllo e nella distribuzione dell’acqua potabile, che arriva presso i rubinetti delle abitazioni.
Ma questo comportamento insufficiente degli oltre ottomila Comuni italiani non giustifica l’enorme consumo di acqua imbottigliata, spesso pessima e peggiore di quella dei rubinetti. A Parigi, l’acqua comunale è ottima. A Roma, altrettanto. In Italia, il consumo di acqua minerale è stato nel 2008 di 194 litri a testa, in Francia venti volte di meno.

Nel Paese d’oltralpe, una bottiglia di acqua minerale costa quanto una bottiglia di vino. Anche per questo quasi nessuno ne compra. Nel nostro Paese hanno scoperto fonti di acqua minerale dovunque. Laboratori chimici, soprattutto quelli delle Università, rilasciano certificati di idoneità sui quali si fondano enormi e ingiustificati profitti di chi imbottiglia acqua. Peraltro, nei supermercati vi sono bottiglie che costano da 25 centesimi a sei volte tanto. Non si capisce perché ci debba essere questo grande divario. Sempre acqua è, che dovrebbe sgorgare da qualche fonte cristallina e pietrosa.
Per le società che distribuiscono l’acqua minerale vi è un ovvio costo imprenditoriale consistente nell’imbottigliamento, immagazzinamento, distribuzione e vendita. Vi è un altro costo a monte del processo produttivo, consistente nel pagamento di canoni all’ente pubblico per la concessione e l’utilizzazione della fonte.

 
Ogni Regione ha un tariffario stabilito non si sa in base a quali criteri. Con l’inchiesta pubblicata il 24 giugno scorso, abbiamo constatato che la Regione siciliana concede utilizzazioni delle fonti quasi gratis. Infatti fa pagare 1 euro per metro cubo, mentre la Regione Veneto pretende un canone di 3 euro al metro cubo. Non si capisce quale sia la logica in base alla quale la Regione siciliana, così a corto di entrate finanziarie, continui a mantenere questo stato di semigratuità.
La questione riguarda anche l’utilizzazione dei siti balneari, per i quali i canoni sono inferiori a quelli di Lazio e Toscana. Infatti in Sicilia esso è di 8 euro al metro, nel Lazio di 37 euro al metro, in Toscana di 25 euro.
Altro capitolo della stessa materia è lo sfruttamento delle cave. In questo caso addirittura la Regione siciliana non applica alcun canone per estrarre ogni bene dalla terra isolana: dall’argilla, alla ghiaia, sino alle preziose pietre ornamentali.

La questione che stiamo esaminando è più estesa dei tre filoni prima indicati. Riguarda l’utilizzazione del patrimonio immobiliare e di terreni della stessa Regione, per la quale vengono riscossi canoni ben al di sotto di quelli di mercato.Dall’altra parte, vi sono immobili e terreni concessi anche gratuitamente. Quando prende in affitto immobili e terreni, invece, la Regione paga canoni pari o superiori a quelli di mercato.
All’interno del suo patrimonio  vi sono le partecipazioni azionarie di società controllate, integralmente o parzialmente. Ci si aspetterebbe che tali società facessero la loro normale attività imprenditoriale e conseguissero utili. Dall’insieme dei bilanci che andiamo esaminando e che saranno riportati in una prossima inchiesta, risulta che a fronte degli investimenti nel capitale delle controllate la Regione consegue perdite e non utili.
Da aggiungere che molte di queste società fatturano i loro proventi alla stessa, la quale gli affida i servizi senza passare dal mercato, attraverso aste di evidenza pubblica.Al danno si aggiunge la beffa: le partecipate perdono e i cittadini pagano i servizi di più di quanto dovrebbero.
Che resta da dire: fare un brindisi con l’acqua del sindaco.
 

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