Nel Mezzogiorno percentuali inferiori di sopravvivenza oncologica - QdS

Nel Mezzogiorno percentuali inferiori di sopravvivenza oncologica

Liliana Rosano

Nel Mezzogiorno percentuali inferiori di sopravvivenza oncologica

martedì 17 Gennaio 2012

Al Sud la sopravvivenza è del 4-10% inferiore rispetto al Centro-Nord

La diseguaglianza Nord-Sud riguarda anche le malattie. Mentre al Nord la speranza di vita si allunga e la sopravvivenza e superiore, al Sud si muore prima. Le cause? Ritardo diagnostico che determina la rilevazione della malattia in fase più avanzata e, quindi, con prognosi peggiore; disuguaglianze nell’accesso ai percorsi diagnostico-terapeutici; qualità dei servizi di diagnosi e cura erogati; ridotta introduzione di modelli di trattamento multidisciplinare. O meglio: condizioni ambientali ad elevato rischio a causa della presenza, nel territorio dell’Isola di due petrolchimici.
 
Fanno riflettere gli ultimi dati pubblicati nel Rapporto 2011 “La sopravvivenza oncologica in Italia -Epidemiologia & Prevenzione” curato dall’Airtum (Associazione italiana registri tumori) che ha riguardato circa 500.0000 casi di cancro diagnosticati nel quinquennio 2000-2004. L’analisi ha coinvolto 29 registri generali e i registri specializzati della mammella di Palermo, dei mesoteliomi della Liguria e dei tumori infantili del Piemonte e delle Marche. Nel Rapporto, sono stati anche raccolti i dati di incidenza, circa 1.000.000 di casi, rilevati nel periodo 1990-2007, con aggiornamento dello stato in vita al 31 dicembre 2008 ed ha interessato 11 registri generali.
 
Mentre ancora la Sicilia attende il proprio registro regionale dei tumori, che, fanno sapere dall’Asp di Siracusa, dovrebbe definirsi nei prossimi mesi grazie al lavoro dei Registri siciliani con il coordinamento dell’Osservatorio Epidemiologico dell’Assessorato Regionale Sanità, l’Isola, e il Sud in generale, registra una sopravvivenza dei malati di tumore di 4-10 punti percentuali piu? bassa che al Centro-Nord. “Un divario già noto, fanno sapere dall’Airtum, ma ora l’affermazione è rafforzata dall’accresciuta rappresentatività dei registri del Sud, il cui numero negli ultimi anni è raddoppiato, passando da 4 a 8. Se si considera l’insieme di tutti i tumori (esclusi quelli di vescica e cute), la sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi dei malati oncologici In Italia è pari al 50% per gli uomini e al 60% per le donne. Questo dato è superiore alla media europea ed è simile a quello registrato nei Paesi scandinavi, mentre è inferiore a quello degli Stati del Nord America. Tra il 1990 e il 2007 il periodo di permanenza in vita dei malati di cancro e? aumentato del 14% per gli uomini e del 9% per le donne. Questo importante miglioramento permane anche a distanza di 10 e 15 anni dalla diagnosi.
La sopravvivenza a 5 anni per i tumori di maggiore impatto sociale mostra che a fianco di neoplasie a buona prognosi permangono ancora tumori a prognosi infausta:la sopravvivenza e? alta per alcune sedi tumorali quali tiroide (94%), mammella della donna (87%), prostata (89%),
cervice uterina (61%) e colon-retto (58%); e? inferiore al 50% per le leucemie (43%) e il tumore dello stomaco (29%);ed e? al di sotto del 20% per fegato (14%) e polmone (13%).
Negli uomini la sopravvivenza a 5 anni e? di circa 10 punti percentuali piu? bassa rispetto a quella delle donne; in questo caso ciò è chiaramente determinato dalla diversa distribuzione nei due generi di tumori a prognosi differente.Secondo l’Airtum, «le sopravvivenze più basse rilevate al Sud riguardano tumori diversi per prognosi e per disponibilità di interventi sanitari, tendono a persistere anche tra coloro che sono sopravvissuti al primo anno dopo la diagnosi e anche tra i malati che sopravvivono per più di 5 anni dalla data di diagnosi. Ciò significa che la più bassa sopravvivenza non è limitata ai casi con malattia intercettata in stadio più avanzato.
 
Quest’ultimo elemento suggerisce che le criticità presenti all’interno dei sistemi sanitari delle Regioni meridionali non siano limitate alla fase diagnostica, ma siano presenti anche nelle successive fasi di gestione della malattia”.
E’ la prima volta che uno studio della sopravvivenza in Italia valuta anche la sopravvivenza condizionata, un parametro utilizzato come indicatore del modificarsi della prognosi al passare del tempo. La sopravvivenza relativa condizionata, presentata nel Rapporto per sesso e area geografica, consiste infatti nell’osservazione della sopravvivenza di pazienti che siano già sopravvissuti uno o cinque anni dalla diagnosi. Perché si fa questo? Per determinare meglio i profili di rischio di mortalità per ogni neoplasia (per alcuni tumori, per esempio, se si sopravvive oltre un certo periodo di tempo l’eccesso di rischio diminuisce e addirittura si annulla; per altri, come quello della mammella femminile, una quota di rischio rimane sempre) e per dare al malato una informazione più vicina alla sua esperienza reale. Comunicando solo la sopravvivenza dalla data della diagnosi si perde la percezione della modificazione nel tempo della prognosi.
 
Se si è sopravvissuti il primo anno, la sopravvivenza a distanza di 5 anni non è uguale a quella che si aveva l’anno prima, ma è più alta, è un modo per dire al malato in modo scientificamente fondato che la sua prognosi migliora progressivamente con il passare del tempo. La sopravvivenza condizionata, quindi, ha più di una valenza: quella scientifica dei profili di rischio, quella del programmatore sanitario, che ha uno strumento più raffinato per la valutazione e programmazione e, ultima ma non meno importante, quella della comunicazione con il paziente.
 

 
Profili di rischio. La sopravvivenza relativa condizionata

La sopravvivenza relativa condizionata, presentata nel Rapporto per sesso e area geografica, è un parametro utilizzato come indicatore del modificarsi della prognosi al passare del tempo.consiste nell’osservazione della sopravvivenza di pazienti che siano già sopravvissuti uno o cinque anni dalla diagnosi. Si fa questo per determinare meglio i profili di rischio di mortalità per ogni neoplasia (per alcuni tumori, per esempio, se si sopravvive oltre un certo periodo di tempo l’eccesso di rischio diminuisce e addirittura si annulla) e per dare al malato un’informazione più vicina alla sua esperienza reale.
Comunicando solo la sopravvivenza dalla data della diagnosi si perde la percezione della modificazione nel tempo della prognosi. Se si è sopravvissuti il primo anno, la sopravvivenza a distanza di 5 anni non è uguale a quella che si aveva l’anno prima, ma è più alta, è un modo per dire al malato in modo scientificamente fondato che la sua prognosi migliora progressivamente con il passare del tempo. La sopravvivenza condizionata, quindi, ha più di una valenza: quella scientifica dei profili di rischio, quella del programmatore sanitario, che ha uno strumento più raffinato per la valutazione e programmazione e, ultima ma non meno importante, quella della comunicazione con il paziente.

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