Messina – Voglia di giustizia, voglia di legalità. Spiata, intercettata, sconvolta da indagini che rivelano violazioni e abusi di ogni tipo in tutti i centri di potere, la città dello Stretto e alcuni dei suoi più illustri figli si preparano ad affrontare una caldissima stagione di processi, condanne eccellenti, ricusazioni e mortificazioni.
Come finirà nessuno è in grado di prevederlo, ma le pretese dei cittadini sono chiare: la cultura del nepotismo, della massoneria, del comparaggio deve essere debellata una volta per sempre (utopia?), per valorizzare gli interessi collettivi e far vincere il principio di meritocrazia. Ddl intercettazioni permettendo.
La data dell’8 luglio, per esempio, avrebbe dovuto segnare l’inizio di un’udienza molto attesa, quella riguardante lo scandalo del concorso pilotato alla Facoltà Veterinaria e la gestione dei Fondi Lipin. Ma naturalmente non poteva mancare il colpo di scena, anzi il doppio colpo di scena. In prima battuta, infatti, si è assistito allo stralcio della posizione del rettore dell’Università Franco Tomasello, come dimostrato dai suoi avvocati Favazzo e Scillia impossibilitato a presenziare in aula. Il 13 luglio, poi, data stabilita per l’inizio del processo nei confronti delle altre 22 persone coinvolte (tutti docenti e funzionari dell’Ateneo), gli stessi legali di Tomasello insieme con quelli dell’ex presidente di Veterinaria, Battesimo Macrì, hanno addirittura ricusato il presidente del collegio Caterina Mangano e uno dei componenti, Daniela Urbani, perché facenti parte del Tribunale della Libertà che qualche mese addietro rigettò l’appello di Tomasello contro la decisione di sospensione voluta dal gip, e che quindi secondo gli avvocati nei loro giudizi agli indagati non potrebbero essere “sereni”. Ricusazione rispedita al mittente dal Tribunale, ma ancora da verificare da parte della Corte d’Appello.
E mentre questa sterile forma di ostruzionismo rallenta i tempi della giustizia, le motivazioni delle sentenze del primo troncone dell’inchiesta in questione, il rito abbreviato che ha visto la condanna di sei dei sette imputati per abuso d’ufficio e peculato, dimostrano che prima o poi la legge, quando vuole, riesce a imporsi sul malaffare. “L’accusa – scrive a proposito il gup Massimiliano Micali – dispone di elementi di conoscenza inequivocabilmente dimostrativi dell’uso illegittimo del potere”. Tra i condannati, ricordiamo, l’immarcescibile Raffaele Tommasini, vero “uomo ovunque” della rete di potere messinese (un anno di reclusione, ma pena sospesa), Francesco Naccari, Marisa Masucci e Mariagrazia Pennisi, Mirko Paiardini e Barbara Cervasi.