Crescono del 4% i fallimenti in Sicilia - QdS

Crescono del 4% i fallimenti in Sicilia

Liliana Rosano

Crescono del 4% i fallimenti in Sicilia

martedì 22 Maggio 2012

I dati del gruppo Cerved per il primo trimestre del 2012 confermano che la crisi è lungi dall’essere terminata. Il dato isolano più basso per la presenza delle microimprese che non superanoi requisiti di fallibilità

PALERMO – Non si ferma la corsa dei fallimenti: nel primo trimestre dell’anno in Italia sono state aperte oltre 3.000 procedure, il 4,2% in più rispetto allo stesso periodo 2011. Lo affermano i dati del gruppo Cerved. I default continuano a crescere in tutta la Penisola, ad eccezione del Nord Est, in cui si registra una diminuzione dell’8,8% rispetto allo stesso periodo del 2011, grazie ai forti cali osservati in Veneto (-12,3%) e in Emilia Romagna (-12,2%).
L’aumento dei fallimenti è invece particolarmente intenso nel Centro Italia (+12,7%), maggiore rispetto alla media nazionale nel Mezzogiorno e nelle Isole (+6,5%) e nel Nord Ovest (+4,9%). Anche nel primo trimestre del 2012 il Nord Ovest rimane l’area con la maggiore diffusione dei fallimenti (6,6 su 10 mila imprese operative), per l’alta frequenza osservata in Lombardia (7,8); più bassi gli insolvency ratio del Piemonte (5,2), della Liguria (4,5) e della Valle d’Aosta (3,8). Nel Centro risulta molto elevata la diffusione del fenomeno in Umbria (9 fallimenti su 10 mila imprese operative) e, in misura minore, nelle Marche (7,2), nel Lazio (6,2) e nella Toscana (5,4).
L’incidenza dei fallimenti nel Sud e nelle Isole è strutturalmente minore rispetto al resto della Penisola per la maggiore diffusione di microimprese, che non superano i requisiti di fallibilità; l’Abruzzo è la regione dell’area con il maggior insolvency ratio (5,4), seguita dalla Sardegna (5,1), dalla Campania (4,8), dalla Puglia (4,6), dal Molise (4,4), dalla Calabria (4,3), dalla Sicilia (4), dalla Basilicata (2,2). E la crescita dei default non si arresta da 4 anni: a partire dell’aprile 2008 le procedure sono in aumento. Un primo segnale positivo viene solo dai dati destagionalizzati: tra gli ultimi 3 mesi del 2011 e i primi 3 del 2012 il numero di fallimenti corretto per fenomeni di stagionalità e di calendario è in calo dell’1,1%, mantenendosi comunque a livelli molto più elevati rispetto a quelli pre-crisi.
Il gruppo Cerved segnala che dal punto di vista settoriale il primo trimestre del 2012 ha confermato le tendenze del 2011: continua a ritmi intensi l’aumento dei fallimenti nell’edilizia (+8,4% rispetto ai primi tre mesi del 2011) e nel terziario (+4,1%) che risente degli incrementi osservati nella filiera informazione, della comunicazione e dell’intrattenimento, nella logistica-trasporti e tra le società immobiliari.
Pur rimanendo il comparto caratterizzato dalla maggiore diffusione dei fallimenti (l’insolvency ratio, cioè il numero di fallimenti ogni 10 mila imprese, si è attestato a 9,8 punti contro il 5,5 osservato nel complesso dell’economia) continuano i segnali che fanno sperare a un’inversione di tendenza nell’industria: le richieste di default sono in calo del 7,2% rispetto al primo trimestre del 2011.
Anche se in Sicilia il fenomeno sembra colpire le imprese siciliane in misura minore rispetto che al Centro-Nord, l’Isola sente comunque gli effetti della crisi che non risparmia nessuno.
 

 
I creditori siciliani impiegano 12 anni per chiudere un fallimento
 
Secondo l’istat i creditori siciliani di imprese fallite impiegano quasi 12 anni per chiudere un fallimento. Una lunga attesa per cui l’Isola ha un triste primato, con tempi che sono oltre il doppio rispetto al Trentino Alto Adige. I dati segmentati per regione dell’impresa fallita indicano che esistono forti differenze territoriali: le attese maggiori si osservano come dicevamo tra i creditori di imprese siciliane (quasi 12 anni), pugliesi (10,8 anni), molisane (10,5 anni), campane (10,2), e sarde (10 anni); viceversa con un’attesa media di “soli” 5,7 anni il Trentino Alto Adige è la regione più virtuosa, seguita dalla Lombardia (7 anni), dal Piemonte (7,1 anni) e dal Veneto (7,5 anni).
Nel 2007 è stata portata a compimento la riforma della disciplina fallimentare, che aveva tra i suoi obiettivi anche quello di ridurre la durata delle procedure. La riforma ha innalzato le soglie di fallibilità, allo scopo di far concentrare i tribunali sui casi più importanti e di evitare quelli di microimprese con bassi livelli di crediti recuperabili. Dopo un’iniziale riduzione del numero di procedure, per effetto della crisi, le aperture di fallimenti hanno iniziato ad aumentare, neutralizzando in parte gli effetti della riforma. Il Ministero della Giustizia stima che alla fine del 2010 fossero ancora 86 mila i procedimenti di fallimento pendenti presso i tribunali italiani.

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