Allarme Dia, impennata dei crimini ambientali. Corruzione come anello di congiunzione con la Pa - QdS

Allarme Dia, impennata dei crimini ambientali. Corruzione come anello di congiunzione con la Pa

redazione web

Allarme Dia, impennata dei crimini ambientali. Corruzione come anello di congiunzione con la Pa

domenica 19 Gennaio 2020

Le mafie ora puntano a mettere le mani anche sulla raccolta ufficiale dei rifiuti solidi urbani, ma la colpa è anche di imprenditori, amministratori e politici senza scrupoli. Riflettori sul Centronord dove c'è un "brodo di cultura nutriente per la realizzazione di ecoreati". La Direzione investigativa antimafia, "assolutamente necessario ridurre il più possibile l'intera filiera". L'Accademia della camorra per formare nuovi boss

C’è una “preoccupante estensione” dei crimini ambientali che incide direttamente “sull’ambiente e sull’integrità fisica e psichica delle persone, ledendone la qualità della vita”, con le mafie che ora puntano a mettere le mani anche sulla raccolta ufficiale dei rifiuti solidi urbani.

L’allarme arriva dalla Dia che, nella relazione semestrale al Parlamento, manda però un messaggio preciso alla politica: se ciò avviene, non è colpa solo dei mafiosi ma anche di imprenditori, amministratori e politici senza scrupoli.

L’impennata dei crimini, dicono gli investigatori dell’antimafia, ha un motivo preciso: il settore coinvolge “trasversalmente interessi diversificati”.

Tradotto, ci guadagnano in molti.

Il fenomeno, scrivono, è alimentato “costantemente dall’azione famelica di imprenditori spregiudicati, amministratori pubblici privi di scrupoli e soggetti politici in cerca di consenso, nonché di broker, anche internazionali, in grado di interloquire ad ogni livello”.

Si tratta di quei soggetti che formano la cosiddetta “area grigia” indispensabile alle organizzazioni criminali per portare avanti tutte le attività di “secondo livello”, quelle cioè che destano meno allarme sociale e permettono di infiltrare l’economia legale.

“I professionisti e gli imprenditori collusi – spiegano gli analisti – consentono alle cosche di entrare in contatto con un’altra area grigia, altrettanto pericolosa, in cui operano gli apparati infedeli della pubblica amministrazione”.
Ed è “la corruzione l’anello di congiunzione tra queste due aree grigie”, lo strumento attraverso il quale “le cosche diventano, di fatto, un vero e proprio contraente della pubblica amministrazione”.

Vale per gli affari e vale per i rifiuti, dove si evidenza anche un altro problema, direttamente connesso alla filiera legale: troppo lunga e con troppi passaggi; dalla produzione allo smaltimento, il rifiuto si muove troppo.

“Più è lunga la filiera più le organizzazioni criminali trovano spazi di inserimento”.

Al Sud ma ormai anche al Centronord dove c’è un “brodo di cultura nutriente per la realizzazione di ecoreati”.

Le cause di questa situazione vanno rintracciate nell’assenza di impianti idonei, primi tra tutti i termovalorizzatori, e nel mancato potenziamento delle infrastrutture per il riciclo dei materiali organici.

Per questo servono quelle che la Dia chiama “scelte di civiltà”: “la partita in gioco è molto seria e riguarda il futuro delle prossime generazioni. La sola azione giudiziaria non è sufficiente, è assolutamente necessario ridurre il più possibile l’intera filiera”.

Nella sua relazione la Dia ribadisce poi come la ‘Ndrangheta resti la più pericolosa delle organizzazioni, “silente ma più che mai viva nella sua vocazione affaristico imprenditoriale” e sempre più leader a livello mondiale per i traffici di droga.

Una mafia che ormai “è ovunque”, che viene presa a modello da emulare – come dimostra quel che sta accadendo in provincia di Foggia – e che esprime un “radicato livello di penetrazione nel mondo politico e istituzionale” che le consente di mettere le mani su appalti e commesse pubbliche.

E se in Sicilia è sempre più forte il legame tra gli “scappati” di Cosa nostra e le famiglie americane e Matteo Messina Denaro resta un punto di riferimento anche se cresce “l’insofferenza” nei suoi confronti per l’ingombrante latitanza, a far rumore in Campania non sono i clan storici ma i giovanissimi.

Una pletora di “aspiranti camorristi” dice la Dia, organizzati in bande spesso senza alcun legame con le organizzazioni ma che agiscono con la stessa violenza “esasperata”.

Una realtà a cui gli investigatori hanno dato addirittura un nome: “Accademia della camorra”.

Una sorta di scuola dove si formano i nuovi boss.

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