Roma, 5 nov. (askanews) – Con l’arresto di Almasri la Libia ha dato una ‘lezione’ di diritto al governo italiano; al contrario l’esecutivo sapeva del procedimento fin da gennaio e per questo lo ha rimpatriato. Le notizie che arrivano da Tripoli tornano a far deflagrare la polemica politica sul caso, con le accuse delle opposizioni e la replica dell’esecutivo.
Almasri, uno dei leader della milizia Radaa, a capo del carcere-lager di Mitiga, è stato arrestato dalle autorità di Tripoli con accuse pesantissime: tortura di detenuti e la morte di uno di loro in seguito alle violenza. Secondo l’Ufficio del procuratore, almeno dieci persone sarebbero state sottoposte a tortura o trattamenti crudeli e degradanti da Almasri.
Il militare era stato arrestato il 19 gennaio a Torino in esecuzione di un mandato d’arresto emesso il giorno prima dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità. Nel carcere delle Vallette era rimasto due giorni e poi era stato scarcerato ed espulso “vista la pericolosità del soggetto”, come aveva spiegato il ministro Matteo Piantedosi. Subito dopo era stato rimpatriato in Libia a bordo di un volo di Stato: al suo arrivo a Tripoli era stato accolto dai festeggiamenti dei suoi uomini.
Alla notizia dell’arresto le opposizioni sono andate subito all’attacco. “Evidentemente – accusa la segretaria Pd Elly Schlein – per la procura in Libia il diritto internazionale non vale ‘solo fino a un certo punto’, come per il governo italiano. Questa è una figura vergognosa a livello internazionale per cui il governo deve chiedere scusa agli italiani”. Per Giuseppe Conte, leader M5s, è una “umiliazione per il governo Meloni. Ora diranno che anche la Procura generale in Libia è un nemico del Governo? Che vergogna per la nostra immagine. Non è questa l’Italia”. “Il Governo Meloni è il Governo dell’ingiustizia”, dice Matteo Renzi (Iv), mentre Riccardo Magi (+Europa) chiede “cos’altro deve accadere se non l’arresto in Libia di Almasri con l’accusa di violenze e torture sui detenuti perchè Nordio si dimetta?” Il governo per lunghe ore ha incassato e taciuto. Anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani, di solito loquace, incrociato dai cronisti alla Camera nel primo pomeriggio, si era limitato a dire che “non me ne sto occupando”. Poi, dopo le 18, Palazzo Chigi ha affidato la sua posizione a “fonti di governo”. “L’esecutivo italiano era bene a conoscenza dell’esistenza di un mandato di cattura emesso dalla Procura Generale di Tripoli a carico del libico Almasri già dal 20 gennaio 2025” quando il Ministero degli Esteri aveva ricevuto “pressoché contestualmente” con l’emissione del mandato di cattura internazionale della Procura presso la Corte Penale Internazionale de L’Aja, una richiesta di estradizione da parte dell’Autorità giudiziaria libica. “Questo dato – proseguono le stesse fonti – ha costituito una delle fondamentali ragioni per le quali il Governo italiano ha giustificato alla CPI la mancata consegna di Almasri e la sua immediata espulsione proprio verso la Libia”. E’ quindi “singolare” – secondo il governo – “che questo elemento, obiettivo e pubblico, rappresenti una assoluta novità per tanti esponenti delle opposizioni”.
Il governo sottolinea, piuttosto, che l’arresto di Almasri è conseguenza dell’indebolimento della Forza Radaa, milizia nata per contrastare Gheddafi che dopo la guerra civile aveva assunto il controllo e la gestione di infrastrutture strategiche, come aeroporti e carceri. “La novità reale”, per Palazzo Chigi, è “quanto avvenuto a Tripoli con gli scontri armati scoppiati nel maggio 2025, innescati dall’uccisione di Abdelghani Gnewa Al Kikli. A seguito di ciò, la Forza Rada, di cui Almasri è esponente di spicco, è stata indebolita militarmente e politicamente, e ha subito un ridimensionamento, con una importante cessione di fatto del monopolio delle funzioni di sicurezza delegate e della capacità di controllo del territorio. Proprio questo contesto di ridotta autonomia della Forza Rada ha reso oggi il fermo di Almasri non solo materialmente possibile, ma anche funzionale a obiettivi interni del Governo di Unità Nazionale libico”.
Il governo “si arrampica sugli specchi” la controreplica dei Dem. Comunque sia, l’arresto di Almasri è solo l’ultimo episodio di questa storia a creare forte imbarazzo a Palazzo Chigi. Dopo il rilascio, la Procura di Roma aveva aperto un fascicolo dopo un esposto dell’avvocato Luigi Li Gotti in cui si ipotizzavano i reati di favoreggiamento e peculato. Nel registro degli indagati erano stati iscritti la premier Giorgia Meloni, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, il ministro della Giustizia Carlo Nordio e quello dell’Interno Matteo Piantedosi. L’indagine era poi passata al Tribunale dei ministri che il 4 agosto aveva disposto l’archiviazione per la premier, mentre per i ministri ed il sottosegretario era stata chiesta l’autorizzazione a procedere al Parlamento. Autorizzazione negata a maggioranza dalla Giunta della Camera lo scorso 9 ottobre.
Resta però in piedi – e preoccupa – il procedimento a carico di Giusi Bartolozzi, capo di gabinetto di Nordio, indagata per false informazioni rese ai pm. Bartolozzi, in teoria, non può godere dell’immunità ma la maggioranza sta cercando di far applicare anche a lei la norma che prevede la richiesta di autorizzazione perchè il supposto reato sarebbe stato commesso “in concorso” con esponenti del governo. Proprio ieri la Giunta ha approvato a maggioranza un parere favorevole alla sollevazione del conflitto di attribuzione da parte della Camera nei confronti della procura di Roma e del tribunale dei ministri. Il parere, approvato a maggioranza con i voti del centrodestra, viene trasmesso all’ufficio di presidenza che deciderà se procedere o meno al conflitto tra poteri dello Stato davanti alla consulta. Quindi la decisione finale spetterà all’aula.

