Il sindacato sottolinea la totale disfunzionalità del sistema penitenziario e chiede riforme immediate al governo Meloni
“Ancora indagini e misure cautelari nei confronti di appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria con a carico l’ipotesi del grave reato di tortura commesso ai danni di un detenuto. Questa volta è il caso del carcere di Bari e anche in questa circostanza riponiamo incondizionata fiducia nella magistratura e negli organi inquirenti, chiedendo che facciano piena luce sull’accaduto nella speranza che tutti gli agenti coinvolti riescano a dimostrare la correttezza del loro operato. Tutto questo, però, a prescindere da quella che sarà la verità processuale, dimostra ancora una volta la totale disfunzionalità del sistema penitenziario e una persistente emergenza strisciante mai affrontata compiutamente. Anche per questo chiediamo al governo Meloni e al ministro Nordio riforme immediate e investimenti mirati”. Lo dichiara Gennarino De Fazio, segretario generale della Uilpa Polizia penitenziaria, commentando le indagini e le misure cautelari a carico di appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria per un presunto pestaggio che sarebbe avvenuto nel carcere di Bari lo scorso 27 aprile.
“Episodi come questi vanificano il sacrificio e infangano la straordinaria professionalità di 36.000 donne e uomini del Corpo di polizia penitenziaria che quotidianamente assicurano la sicurezza nelle carceri del Paese e costituiscono al tempo stesso l’ultimo baluardo di umanità nelle frontiere penitenziarie, connotate ancora da suicidi (74 detenuti e 4 operatori si sono tolti la vita nel 2022), violenze fisiche e morali, sovraffollamento, sofferenze e abbandono della politica”, denuncia.
“Chi sbaglia va individuato, isolato e perseguito, ma se le indagini per il reato di tortura sono ormai numerose e interessano carceri diverse in tutto il Paese, probabilmente, c’è molto di più di qualcosa nell’organizzazione complessiva che non funziona e da correggere. In altre parole – spiega il sindacalista – pur essendo convinti che la stragrande maggioranza degli appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria coinvolti riuscirà a dimostrare la propria innocenza, appare evidente che vi sia un problema di sistema: o il reato di tortura è costruito male nel nostro codice penale o significa che l’organizzazione complessiva dei penitenziari non regge; in tal ultima ipotesi, non si può evidentemente pensare solo alla repressione, ma bisogna prevenire le degenerazioni mettendo in sicurezza le carceri, chi vi è ristretto e chi vi lavora, sotto ogni profilo”. Infine la richiesta al ministro Nordio “di aprire immediatamente un tavolo di confronto permanente per discutere di riforme, modello custodiale, organici, equipaggiamenti, sovraffollamento detentivo e, non ultima, di dotazione di body-cam per riprendere le operazioni di servizio della Polizia penitenziaria, la quale in massima parte non ha nulla da nascondere, ma che continua a essere esposta all’inefficacia del sistema”.