“Se ritrattassi e, abiurando, dichiarassi che quanto ho detto al Pm non è vero, il procedimento penale a mio carico si chiuderebbe subito”, ma “io voglio il processo: è una cosa che devo, a me e a tante altre persone che hanno diritto a giustizia e verità”.
Lo scrive, sul suo profilo Fb, il giudice Maria Angioni, che da sostituto alla Procura di Marsala indagò sul sequestro della piccola Denise Pipitone e che è indagata per false dichiarazioni al pm.
“Io invece – continua la Angioni, adesso giudice del lavoro a Sassari – sto studiando e valuterò tutti gli atti, anche quelli contenuti nei numerosi stralci a mod. 44 (notizie di reato a carico di persone ignote, ndr) e mod. 45 (registro atti che non costituiscono notizie di reato, ndr) che disposi all’epoca per esigenze di particolare segretezza, e ho già depositato una denuncia penale per falsità materiale in atto pubblico”.
L’ex pm è stata sentita come “persona informata dei fatti” lo scorso 3 maggio dalla Procura di Marsala. Alcune delle sue dichiarazioni non sarebbero state riscontrate negli atti dell’inchiesta e per questo motivo il 4 giugno è stato emesso l’avviso di garanzia nei suoi confronti, notificato il 18 giugno, con invito a comparire di nuovo a Marsala in veste di indagata.
Il primo si riferisce a un’intercettazione di due uomini che citano il nome di Denise – mai identificati – mentre viaggiano su un motorino a Mazara del Vallo. L’ex pm aveva parlato di una telecamera disattivata poco prima della conversazione da membri del commissariato, ma sarebbe stata lei stessa a farla attivare, poco prima del dialogo fra i due uomini.
Il secondo riguarda invece il posizionamento di alcune microspie, che sarebbero state poste vicino a fonti di rumore. Motivo per cui la Angioni aveva tolto il compito di intercettare gli indagati al Commissariato di Mazara, che fino ad all’allora se ne era occupato. Tuttavia, secondo i magistrati, l’ex pm non avrebbe mai davvero compiuto questa operazione.
E il terzo: Angioni ha detto di aver sentito un dirigente di Mazara che in realtà, sempre secondo i magistrati, non fu mai ascoltato.
Il suo legale, l’avvocato Stefano Pellegrino, ha parlato di “ricordi in buona fede”, sottolineando la complessità del caso e la distanza temporale dai fatti, oltre 17 anni.