Come se non fossero già sufficienti, e non avessero fatto già abbastanza vittime, la guerra in Europa tra Russia e Ucraina e in Medio Oriente tra Israele e Hamas, anche i sudamericani sembra vogliano contribuire all’instabilità globale. Venezuela e Guyana da due secoli hanno in corso un contenzioso sull’Essequibo, un territorio internazionalmente riconosciuto come parte della Guyana, lo stato che confina a sud con il Venezuela. L’Essequibo prende il nome dal fiume che l’attraversa e divide in due la Guyana, e da due secoli è conteso, un po’ come le Falkland/Malvinas tra Inglesi e Argentini. Al Venezuela le ragioni per reclamare l’Essequibo non mancano.
Di fatto il fiume segnava il confine definito al termine della guerra d’indipendenza con la Spagna, ma quando la frontiera fu tracciata sulla carta quest’area fu assegnata agli inglesi. Per quanto reclamata a più riprese dal Venezuela, la questione è ferma da quasi 60 anni, anche se ci sono stati frequenti scontri tra i due paesi. Nonostante la Guyana avesse chiesto alla Corte Internazionale di Giustizia, uno degli organi dell’ONU, di vietarlo il 3 dicembre in Venezuela si è svolto un referendum, che ha sancito il volere del popolo di rientrare in possesso dell’Essequibo. La validità di questo voto non è stata riconosciuta e anche sulla sua regolarità sono emersi seri dubbi, ma forte di questo risultato il Presidente Maduro potrebbe anche tentare un colpo di mano.
I motivi veri della contesa, naturalmente, sono altri, ossia la sovranità su un territorio ricco di petrolio, gas, oro, diamanti, acqua e tante altre ricchezze, ma anche la necessità di Maduro di trovare un diversivo che faccia dimenticare la disastrosa situazione economica del paese e ricompatti la sua base in vista delle elezioni dell’anno prossimo. Nonostante la superiorità militare del Venezuela nessuno vuole una guerra, per cui è probabile che, come già in passato, tutto si concluda con dichiarazioni roboanti, o almeno questo sarebbe auspicabile.