Lo sguardo sul reale, con distacco sì, ma anche con tanta sincerità. E’ quello di una Roma in cui non piove da anni, con un fiume Tevere prosciugato. Con le lunghe code per portare a casa qualche tanica d’acqua. Siccità di Paolo Virzì – presentato lo scorso 8 settembre fuori concorso alla 79esima mostra internazionale del cinema di Venezia – ripercorre metaforicamente il malessere di questi ultimi due anni.
In un caos generale le responsabilità sono delle vecchie generazioni, e anche in questo, Virzì, sembra quasi essere profetico.
Scritto da Virzì insieme a Francesca Archibugi, Paolo Giordano e Francesco Piccolo, con la fotografia di Luca Bigazzi nell’ultimo lungometraggio del regista toscano c’è un po’ di tutto. Oltre alle (ormai note) abilità tecniche di regia, Siccità è drammatico ma non commiserabile, sarcastico ma mai ridicolo e apocalittico nella sua originalità
Le tensioni e le malattie legate alla siccità evidenziano i comportamenti primordiali dell’essere umano. Comportamenti che arrivano a rendere impossibile una convivenza tra persone, coppie e famiglie.
Nella moria legata alla sete e al sonno, le forze dell’ordine puniscono chi fa dell’acqua un uso sconsiderato e intanto l’epidemia contagia i cittadini esausti.
Il cast comprende alcuni tra i migliori attori italiani di oggi. A partire da Valerio Mastandrea, ex importante autista di auto blu riciclatosi conducente su prenotazione. Tommaso Ragno (ad oggi uno dei più abili nel panorama nazionale) nei panni di un egocentrico ex attore disoccupato oggi influencer dipendente dai social. Sua moglie, Elena Lietti, invece, si divide tra il lavoro di cassiera e messaggi provocanti con l’amante.
Silvio Orlando non riesce a uscire dalla sua oltre ventennale esperienza carceraria. E poi torna sullo schermo Claudia Pandolfi, dottoressa ospedaliera detta “Terminator”, che durante l’epidemia finirà per ragionare sulla sua famiglia. Una famiglia composta da una figlia musicista e un prestigioso fidanzato avvocato con cui non è più felice da tempo, Vinicio Marchioni. Spazio anche al talentuoso (qui violento) Gabriel Montesi, ed Emanuela Fanelli, rampolla di una spregiudicata famiglia imprenditoriale che tende a sottovalutarla su tutto.
Ma la vera sorpresa, in un certo senso, è rappresentata da Max Tortora, personaggio chiave e sineddoche dell’intero film. La sua umanità da ex commerciante che oggi vive in auto con il suo cane e si fa pagare la pizza da un immigrato dopo averlo insultato può essere metafora della società odierna. Una società che non ascolta e che con la cattiveria gratuita regna grazie ai continui soprusi.
Emergenza e coralità, resistenza e lotta. Ma anche emozioni e sentimenti e – paradossalmente – fiducia e amore per il prossimo. Proprio come recitano le note di ‘’Mi sei scoppiato dentro al cuore‘’ di Mina, brano chiave di un film che poteva tranquillamente gareggiare con i ‘’più grandi’’ in concorso a Venezia.