Cinema, un noir di Stefano Mordini per Accorsi e Maya Sansa - QdS

Cinema, un noir di Stefano Mordini per Accorsi e Maya Sansa

Francesco Torre

Cinema, un noir di Stefano Mordini per Accorsi e Maya Sansa

giovedì 15 Ottobre 2020

In "Lasciami andare", il protagonista Marco prova a ricostruirsi una vita con Anita e il bimbo che la donna tiene in grembo, cercando di rimuovere la morte di Leo, il figlioletto avuto dal primo matrimonio

LASCIAMI ANDARE
Regia di Stefano Mordini. Con Stefano Accorsi (Marco Fasani), Maya Sansa (Clara), Valeria Golino (Perla Gallo), Serena Rossi (Anita), Antonia Truppo (Gloria).
Italia 2020, 98’.
Distribuzione: Warner Bros Italia

Come l’acqua alta cancella ogni traccia di un recente passaggio, così Marco prova a ricostruirsi una vita con Anita e il bimbo che la donna tiene in grembo, cercando di rimuovere dalla propria coscienza la morte di Leo, il figlioletto avuto dal suo primo matrimonio. A riportare a galla un flusso incontrollato di ricordi ed emozioni è però l’imprenditrice Perla Gallo, nuova proprietaria della casa in cui si è consumata la tragedia, perché nella stanza che fu di Leo i nuovi abitanti avvertono una presenza…

Con riprese livide e un découpage classico ma vivace, Stefano Mordini esplora il genere noir quasi con spirito didattico, senza mai esagerare nei toni perturbanti e mostrando un repertorio di archetipi e topoi piuttosto riconoscibile.

Il Canal Grande che si rifrange sulle pareti di una stanza trasformata in una camera oscura, le strade allagate, la mescolanza di stili architettonici, la precarietà di edifici pressoché galleggianti. Venezia regala al film un’aura di bellezza e mistero che ben si adatta alle atmosfere disegnate da una sceneggiatura che si inabissa nei temi del soprannaturale.

La scrittura è a tratti didascalica, appesantita dal continuo recriminare in ovvi scenari di un difficile mènage familiare. Anche l’inserimento di improbabili indagini sulle religioni orientali, così come le disquisizioni di fisica quantistica su complessi concetti spaziotemporali (che probabilmente nel romanzo da cui il film è tratto, “Sei tornato” di Christopher Coake, costituivano capitoli di serio approfondimento) qui finiscono per spezzare il ritmo del racconto e rendere meno verosimili i percorsi dei personaggi.

Rigido nel rispetto dei canoni del genere, il film avrebbe anche l’opportunità di trasformarsi in una tragedia classica sull’infanticidio e sulla persistenza della memoria, con un coro di donne a fare da controcanto all’urlo rabbioso di un uomo ancorato al proprio senso di colpa.

Un finale che preferisce il facile gioco della ricomposizione e del capovolgimento all’esperienza epifanica del protagonista, mai rappresentata sotto forma di catarsi, riconduce però il testo filmico entro i comunque dignitosissimi confini della narrazione contemporanea, lasciando comunque prima dei titoli di coda un’immagine potente e metacinematografica: la trasformazione del gioco di rifrazione rappresentato all’inizio in un magico espediente per la creazione di mondi (im)possibili.

Voto: ☺☺1/2☻☻

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