Coronavirus, aiuti, "per il cibo ci ringraziano piangendo" - QdS

Coronavirus, aiuti, “per il cibo ci ringraziano piangendo”

redazione web

Coronavirus, aiuti, “per il cibo ci ringraziano piangendo”

lunedì 30 Marzo 2020

Un volontario romano della Caritas racconta delle lacrime di una mamma d'origine nigeriana con tre bambine alla vista dei pacchi della Protezione civile. "Distribuiamo anche farmaci e telefoni cellulari usati". La storia di Hashani, senza dimora. "Pasqua dev'essere festa per tutti"

“Il momento più toccante di questi giorni? Le lacrime di una mamma nigeriana, che ha tre bambini. Quando ha visto le buste della spesa che le portavamo è scoppiata in un pianto, a suo modo ci ha detto ‘grazie’ così”.

Massimo Pinna, 59 anni, è uno dei volontari della Caritas nella parrocchia di San Filippo Neri, nella periferia Nord di Roma.

Mentre parla al telefono si sentono in sottofondo le sirene delle ambulanze che sfrecciano sulla Pineta Sacchetti dirette al Covid 2 della Capitale, il Columbus legato al Policlinico Gemelli.

“Nella nostra parrocchia assistiamo 35 famiglie circa stabilmente e una ventina che aiutiamo saltuariamente. In questi giorni tutto è più difficile ma hanno ancora più bisogno di prima”.

La consegna degli alimenti avviene nei locali parrocchiali della Caritas, con le dovute precauzioni (mascherine, disinfettanti per le mani, distanze di sicurezza) “ma in questi giorni siamo soprattutto noi che andiamo da loro”.

E ieri Massimo ha raggiunto anche Vittoria, nigeriana, che vive in una casetta, ospite di un’amica, nelle campagne sull’Aurelia. Oltre due chilometri a piedi nello sterrato fino alla fermata dell’autobus che può portarla a Roma.

“Era lì che ci aspettava davanti al suo casolare e quando le abbiamo lasciato le buste davanti alla porta si è messa a piangere”.

Per lei è difficile riempire un carrello al supermercato, con il marito che non può fare neanche quei lavoretti con i quali arrangiavano qualche euro al giorno.

“Stiamo dando latte, biscotti, pasta, scatolame. Le famiglie sono chiuse in casa, spaventate, senza soldi. A fare il giro siamo ora in due perché i volontari più anziani abbiamo deciso di tenerli a casa per evitare rischi”.

Nel quartiere la Caritas non porta solo da mangiare.

“Ieri ha telefonato una mamma, che vive da sola, con una bambina molto malata, era rimasta con il cellulare rotto. Era disperata e ci ha fatto chiamare da una vicina. Per fortuna avevo nel cassetto un telefonino che non usavo ma ancora funzionante…”.

L’altro giorno a chiamare è stata invece Maria, rumena ma da una decina d’anni in Italia, anche lei sola con un bambino.

“Ha telefonato perché aveva la febbre. Anche prima di chiamare il medico vogliono parlare con noi”.

In questo giro quotidiano di telefonate, e di assistenza materiale almeno una volta a settimana, manca all’appello Hashani, “un nostro amico tunisino, senza fissa dimora, finito per strada dopo aver perso il lavoro circa un anno fa. Era riuscito a tornare dalla famiglia per Natale ma poi è dovuto rientrare qui, per una visita Inail, a causa di un vecchio incidente sul lavoro di quando faceva l’operaio edile. Qui comunque in assenza di meglio, riesce a guadagnare qualche spicciolo pulendo i marciapiedi”.

“Lui – racconta ancora – un tetto non lo ha e ora non risponde neanche al telefono. Prima magari entrava in qualche bar per un panino e per ricaricare il cellulare. Speriamo solo che il problema sia il telefono scarico e non altro”.

C’è anche Dimitri, operaio albanese che sta con moglie e due figli: vive in una casa senza energia elettrica, e ogni tanto “ci chiede aiuto per ricaricare i telefonini, altrimenti i ragazzi non possono seguire le lezioni online”.

“Ora ci stiamo organizzando perché vorremmo dare i pacchi anche a Pasqua. Nonostante questo momento difficile deve essere per tutti una festa”, conclude Massimo.

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