Giustizia

Di Matteo “Non solo mafia nella strage di via D’Amelio”

“Non credo che la strage di via D’Amelio sia solo di mafia”.

L’ha detto, deponendo a Caltanissetta nel processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio, l’ex pm Nino Di Matteo che fece parte del pool che indagò sull’attentato.

Nel processo sono imputati di calunnia aggravata i poliziotti Fabrizio Mattei, Mario Bo e Michele Ribaudo, che facevano parte della squadra di investigatori che condusse l’inchiesta.

Di Matteo, ora componente del Csm, ha aggiunto: “Il depistaggio cominciò con la scomparsa dell’agenda rossa” di Borsellino.

“E le indagini sul diario del magistrato – ha rivendicato Di Matteo – partirono già il 20 luglio del 1992, il giorno dopo l’attentato”.

L’agenda rossa non sparì per mano dei boss

“E’ chiaro – ha aggiunto il magistrato – che l’agenda rossa di Paolo Borsellino è sparita e non può essere sparita per mano di Graviano. Il mio impegno era finalizzato a capire per mano di chi fosse sparita. Abbiamo fatto il possibile per accertarlo, anche scontrandoci con reticenze bestiali sulla presenza di esponenti delle istituzioni nel luogo dell’attentato. Da qui sarei voluto ripartire per tante altre cose”.

Le indagini sulla presenza di Bruno Contrada in via D’Amelio

“Indagai a fondo – ha rivelato il magistrato – sulla presenza di Bruno Contrada in via D’Amelio dopo la strage. Fui io a riaprire le indagini su di lui sulla base delle dichiarazioni del pentito Elmo che ci aveva detto di averlo visto allontanarsi dal teatro dell’attentato con dei documenti in mano. A quel punto lessi tutto il vecchio fascicolo, acquisii le sue agende”.

Contrada era allora il numero due del Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica (Sisde), chiuso nel 2007 dalla riforma dei servizi segreti.

Contrada fu processato e condannato per concorso esterno in associazione mafiosa.

“Vedendo quegli atti – ha spiegato Di Matteo nella sua deposizione – mi accorsi che c’era stato un ufficiale del Ros, Sinico, che era andato in procura a Palermo e aveva riferito ad alcuni magistrati di aver saputo che la prima volante accorsa dopo l’esplosione aveva constatato la presenza di Contrada”.

“I poliziotti – ha aggiunto – aveva scritto una relazione che poi era stata strappata in Questura. I colleghi avevano preso a verbale Sinico e mandato tutto a Caltanissetta, dove Sinico si era rifiutato di rivelare la sua fonte”.

“Si avviò – ha ricordato – una indagine molto spinta sui Servizi Segreti. Io stavo per chiedere il rinvio a giudizio del carabiniere che, poi, si decise a fare il nome della sua fonte che indicò in Roberto Di Legami, funzionario di polizia. Di Legami negò tutto. Rinviato a giudizio fu poi assolto”.

“Siccome l’ipotesi – ha concluso Di Matteo – era che soggetti legati ai servizi avessero partecipato alla strage di via D’Amelio, avrei respinto di certo un eventuale loro tentativo di contribuire all’indagine. Noi non ci siamo fatti aiutare dai Servizi, li abbiamo indagati”.

Il Procuratore Tinebra e le indagini su Berlusconi

Di Matteo ha parlato anche dell’iscrizione di Berlusconi e Dell’Utri per concorso in strage, ricordando che “ci fu una riunione di Dda imbarazzante”.

“L’allora Procuratore Tinebra – ha detto – dopo una lunga discussione disse: ‘voi ve ne assumete la responsabilità, ma io non sottoscrivo nessun atto’. Noi avevamo chiaro che era intervenuto qualcosa che aveva fatto accelerare i tempi della strage di via D’Amelio perché dopo Capaci non era previsto l’attentato a Borsellino, ma era intervenuto qualcosa che aveva indotto Riina a dire che Borsellino andava eliminato subito”.